PEDALANDO LA VITA
L’aurora rischiara il cielo,
mamma e papà caricano bagagli e biciclette sulla macchina. Mia sorella Ilaria continua
a dormire sui sedili posteriori.
Partiamo.
Trascorreremo tre giorni in
Toscana pedalando sulle strade bianche delle crete senesi.
Loro non lo sanno, ma ci sono
anch’io!
Esploriamo i dolci pendii ed
io, da cece, divento fagiolo, giusto per adeguarmi alla cucina toscana.
Tornati a casa, lo stomaco di
mamma è in subbuglio, papà suppone che sia a causa della stanchezza del viaggio.
Io cerco di farmi sentire.
Finalmente i miei genitori
scoprono che esisto!
È da due mesi che sono qui!
Mi sento incompresa.
Come ogni domenica papà parte
con i suoi amici ciclisti alla conquista del suo spazio vitale: sentieri
tortuosi che portano verso paesini arroccati dove poter ammirare incantevoli
panorami.
Noi tre donne, non siamo
certo da meno.
La mamma siede Ilaria sul
seggiolino da bici e ci avviamo.
Una conoscente ci ferma e
pensa bene di elargire consigli: “Non puoi andare in bicicletta, sei incinta! Una
mia amica, per questo motivo, ha perso il bambino.”
Per scacciare la mala sorte
incrocio tutto ciò che ho: gambe, braccia e qualche ditino; faccio un nodo al
mio tubicino per ricordarmi che, se mai la rivedrò, cercherò di evitarla.
Fortunatamente la mamma, che
mi sente muovere giorno e notte, è certa che sto bene e insieme continuiamo a
voler raggiungere traguardi sereni.
I dottori rivelano il mio
segreto.
Quanti impiccioni ci sono al
di fuori di questo mondo sommerso!
Ebbene sì, nella pancia della
mamma ho tanto spazio che aumenta sempre più, vivo in un oceano immenso dove pedalo
e posso sperimentare posizioni diverse, esploro ogni piega del mio sacco.
Come può tutto questo essere
un problema?
I camici bianchi hanno
deciso.
Per ben due volte, anche se
ora sono grande, asciugano il mio mare.
Sostengono che agiscono per
il mio bene, che nascerei troppo presto e quindi sarei debole per affrontare l’operazione.
Questa parola mi crea una
sgradevole sensazione; per la prima volta nel mio viaggio percepisco la salita
e temo la fatica.
Desidero continuare la mia
corsa!
Incredibile! Senza pedalare mi
muovo ed esploro un nuovo canale: nasco.
Mi osservo: caspita, ho una lucina
rossa attaccata al piede e un tubicino nel naso.
Sono contraria al doping!
I miei genitori spiegano a
Ilaria che avrò un bagaglio in più da portare con me per tutta la vita e che
renderà più lenti i miei progressi: si chiama cromosoma e si è unito alla ventunesima coppia del mio DNA .
Nessuno può sentirmi, ma
desidero esprimere ugualmente la mia
opinione: “Nella pancia della mia mamma non ho perso tempo, mi sono allenata,
ho percorso chilometri virtuali. Vi sorprenderò: mettetemi alla prova!”
Fin dai primi giorni dimostro
che, al contrario di quanto si supponeva, i miei muscoli non sono poi così ipotonici.
Ben presto abbandono il
passeggino e scelgo il triciclo per accompagnare la mamma in paese.
Inizio il viaggio verso le
mie prime autonomie!
Scopro che la sensazione di
sollevamento che provavo quando ero nel mio mare, qui nel mondo della luce non
c’è.
Con fatica cerco di
conquistare l’equilibrio; con caparbietà imparo a camminare con sicurezza, ma
gli scalini mi creano ancora un po’ d’ansia.
Papà toglie le rotelle alla
bicicletta, mi sento persa: dondolo e cado.
Temo di non arrivare al
traguardo: uno “strapiombo” blocca il mio viaggio.
Un giorno la mamma entra in
casa con uno strano aggeggio che si può agganciare alla sua bici: lei terrà
l’equilibrio, io avrò il mio sellino e il manubrio da tenere stretto, ma
soprattutto i pedali su cui spingere per riprendere a guardare lontano.
Finalmente torniamo ad andare
in bicicletta insieme.
Ci accomuna una passione,
ognuno con la sua unicità.
Cresco e purtroppo non riesco
ancora a conquistare l’equilibrio su due ruote.
Un pomeriggio la doppia bici
si sbilancia da un lato, la mamma per non farmi cadere appoggia la mano sull’asfalto,
ma l’eccessivo peso le provoca la rottura dello scafoide.
Sembra inevitabile, sarò costretta
a smettere di pedalare.
Papà, che è abituato alla
fatica di strada, non molla e compra per me, ormai diciannovenne, una bici da
adulti con dietro due grandi ruote.
Sono nuovamente in sella ai
miei sogni, che mi rendono ricca e fortunata.
Eccomi qui.
Sono la conferma vivente che
non sempre, mettendosi in movimento, si riesce a mantenere l’equilibrio,
talvolta, per alleggerire il proprio “carico”, si ha bisogno di ausili.
Con l’amorevole sostegno
della mia famiglia affronto la strada mettendomi in pista con coraggio e
umiltà.
Sulla strada, come nella
vita, non si può dare nulla per scontato: è importante tenere stretto il
manubrio, scegliere la propria direzione e, se dietro una curva ci sarà un
ostacolo, bisognerà cercare di essere pronti a schivare, a frenare o a spingere
sui pedali con maggiore energia.
Seguitemi a ruota, vi faccio
strada!
A proposito, il mio nome è
Letizia ed è già una garanzia.
Il bagaglio che appesantisce
il mio cammino, non ci impedirà di essere compagni di viaggio.
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