venerdì 5 luglio 2024

PEDALANDO LA VITA - Un bagaglio in più di Maria Grazia Doglio

 

PEDALANDO LA VITA

 

L’aurora rischiara il cielo, mamma e papà caricano bagagli e biciclette sulla macchina. Mia sorella Ilaria continua a dormire sui sedili posteriori.

Partiamo.

Trascorreremo tre giorni in Toscana pedalando sulle strade bianche delle crete senesi.

Loro non lo sanno, ma ci sono anch’io!

Esploriamo i dolci pendii ed io, da cece, divento fagiolo, giusto per adeguarmi alla cucina toscana.

 

Tornati a casa, lo stomaco di mamma è in subbuglio, papà suppone che sia a causa della stanchezza del viaggio.

Io cerco di farmi sentire.

 

Finalmente i miei genitori scoprono che esisto!

È da due mesi che sono qui!

Mi sento incompresa.

 

Come ogni domenica papà parte con i suoi amici ciclisti alla conquista del suo spazio vitale: sentieri tortuosi che portano verso paesini arroccati dove poter ammirare incantevoli panorami.

Noi tre donne, non siamo certo da meno.

La mamma siede Ilaria sul seggiolino da bici e ci avviamo.

Una conoscente ci ferma e pensa bene di elargire consigli: “Non puoi andare in bicicletta, sei incinta! Una mia amica, per questo motivo, ha perso il bambino.”

Per scacciare la mala sorte incrocio tutto ciò che ho: gambe, braccia e qualche ditino; faccio un nodo al mio tubicino per ricordarmi che, se mai la rivedrò, cercherò di evitarla.

Fortunatamente la mamma, che mi sente muovere giorno e notte, è certa che sto bene e insieme continuiamo a voler raggiungere traguardi sereni.

 

 

 

I dottori rivelano il mio segreto.

Quanti impiccioni ci sono al di fuori di questo mondo sommerso!

Ebbene sì, nella pancia della mamma ho tanto spazio che aumenta sempre più, vivo in un oceano immenso dove pedalo e posso sperimentare posizioni diverse, esploro ogni piega del mio sacco.

Come può tutto questo essere un problema?

I camici bianchi hanno deciso.

Per ben due volte, anche se ora sono grande, asciugano il mio mare.

Sostengono che agiscono per il mio bene, che nascerei troppo presto e quindi sarei debole per affrontare l’operazione.

Questa parola mi crea una sgradevole sensazione; per la prima volta nel mio viaggio percepisco la salita e temo la fatica.

Desidero continuare la mia corsa!

 

Incredibile! Senza pedalare mi muovo ed esploro un nuovo canale: nasco.

Mi osservo: caspita, ho una lucina rossa attaccata al piede e un tubicino nel naso.

Sono contraria al doping!

 

I miei genitori spiegano a Ilaria che avrò un bagaglio in più da portare con me per tutta la vita e che renderà più lenti i miei progressi: si chiama cromosoma e si è unito alla  ventunesima coppia del mio DNA .

Nessuno può sentirmi, ma desidero esprimere ugualmente  la mia opinione: “Nella pancia della mia mamma non ho perso tempo, mi sono allenata, ho percorso chilometri virtuali. Vi sorprenderò: mettetemi alla prova!”

 

Fin dai primi giorni dimostro che, al contrario di quanto si supponeva, i miei muscoli non sono poi così ipotonici.

Ben presto abbandono il passeggino e scelgo il triciclo per accompagnare la mamma in paese.

Inizio il viaggio verso le mie prime autonomie!

 

Scopro che la sensazione di sollevamento che provavo quando ero nel mio mare, qui nel mondo della luce non c’è.

Con fatica cerco di conquistare l’equilibrio; con caparbietà imparo a camminare con sicurezza, ma gli scalini mi creano ancora un po’ d’ansia.

Papà toglie le rotelle alla bicicletta, mi sento persa: dondolo e cado.

Temo di non arrivare al traguardo: uno “strapiombo” blocca il mio viaggio.

 

Un giorno la mamma entra in casa con uno strano aggeggio che si può agganciare alla sua bici: lei terrà l’equilibrio, io avrò il mio sellino e il manubrio da tenere stretto, ma soprattutto i pedali su cui spingere per riprendere a guardare lontano.

Finalmente torniamo ad andare in bicicletta insieme.

Ci accomuna una passione, ognuno con la sua unicità.

 

Cresco e purtroppo non riesco ancora a conquistare l’equilibrio su due ruote.

Un pomeriggio la doppia bici si sbilancia da un lato, la mamma per non farmi cadere appoggia la mano sull’asfalto, ma l’eccessivo peso le provoca la rottura dello scafoide.

Sembra inevitabile, sarò costretta a smettere di pedalare.

Papà, che è abituato alla fatica di strada, non molla e compra per me, ormai diciannovenne, una bici da adulti con dietro due grandi ruote.

Sono nuovamente in sella ai miei sogni, che mi rendono ricca e fortunata.

 

 

 

 

 

Eccomi qui.

Sono la conferma vivente che non sempre, mettendosi in movimento, si riesce a mantenere l’equilibrio, talvolta, per alleggerire il proprio “carico”, si ha bisogno di ausili.

Con l’amorevole sostegno della mia famiglia affronto la strada mettendomi in pista con coraggio e umiltà.

Sulla strada, come nella vita, non si può dare nulla per scontato: è importante tenere stretto il manubrio, scegliere la propria direzione e, se dietro una curva ci sarà un ostacolo, bisognerà cercare di essere pronti a schivare, a frenare o a spingere sui pedali con maggiore energia.

 

Seguitemi a ruota, vi faccio strada!

A proposito, il mio nome è Letizia ed è già una garanzia.

Il bagaglio che appesantisce il mio cammino, non ci impedirà di essere compagni di viaggio.








Nessun commento:

Posta un commento