E' parsa quasi appendice alla festa patronale, la domenica del 17 settembre (quella prima della Carovana della Pace tra Cuneo e Boves passata dal guado e della festa parrocchiale di San Padre Pio).
A Mellana, dal Circolo e dal guado sul torrente Gesso ha fatto doppia tappa la diciannovesima Spasgida Galupa, organizzata dalla Pro Loco, con centosessanta partecipanti.
Al guado il Comitato Storico per il Ripristino, sulla riva cuneese, ha servito antipasti. Al Circolo ci si è dovuti stringere sul tavolo, per assaporare i ravioli ris e coj, riso e cavoli.
Molta è stata la partecipazione dei giovani, che vi hanno anche profuso impegno organizzativo.
Bello è risultato vedere anche una collaborazione tra Associazioni e Comitati che un tempo non sarebbe stata scontata.
domenica 24 settembre 2017
giovedì 17 agosto 2017
Prosa vincitrice Stefano Borghi
Camilla
Camilla parla da sola e quando lo fa sussurra appena, portando la bocca vicino all'orecchio del suo
orsacchiotto sgualcito, che al posto degli occhi ha due bottoni blu e un nastrino rosso al collo a cui è
appeso un cuoricino color oro.
Camilla ha quasi sempre la testa china, quasi volesse guardarsi i piedi per non inciampare quando
cammina.
Evita di guardare le persone negli occhi e sembra non sentire quello che dicono. Alza la testa
quando la gente è lontana, e solo quando corre e l'aria le accarezza la faccia, ride e sembra felice.
Come farfalla su di un prato, si disseta di sole e di nuvole, inventando fiori su cui posarsi per
riposare un poco.
Camilla quando disegna si sporca le mani e i colori che usa sono sempre accesi, e non vuole mai
lavarseli via.
Il suo mondo ha mille porte e nessuna finestra, la sua stanza ha solo angoli in cui rifugiarsi, anche
se nessun posto, nessun luogo, sembra sicuro.
Camilla è una bambina e fa brutti sogni.
Forse è per questo che dorme raggomitolata su se stessa, vicino al suo orsacchiotto, in un letto con
una coperta piena di stelle e una luna che sorride.
Gli occhi chiusi, stretti, per non far passare nemmeno un filo di luce, il respiro affannato e un
martello che batte nel petto.
Nessuno riesce a calmarla, nemmeno la mamma.
Solo il sonno riesce a far breccia nella sua fortezza, e quando capisce che sta arrivando, si lascia
andare nelle sue braccia, sperando la trascini lontano da li, verso un nuovo giorno, una nuova luce.
Camilla ha paura della sera, e a volte fa fatica a dormire.
Perchè c'e' sempre la solitudine prima della notte.
Osserva le ombre della sua stanza, le vede apparire dagli angoli, dietro ai mobili, le sente arrivare da
dietro la porta.
Ma i suoi mostri non sono nascosti nell'armadio o sotto il letto, non hanno occhi grandi e rossi,
come quelli di tutti gli altri bambini.
Camilla tende l'orecchio per ascoltare i passi, perchè il suo mostro non vola, ne sputa fuoco, il suo
mostro cammina.
Si avvicina a lei senza fretta, con un ghigno dipinto sul volto, che solo ad un occhiata distratta può
sembrare un sorriso. Mentre si avvicina non le toglie gli occhi di dosso, poi apre le mani mostrando
le sue caramelle.
Ma ha imparato che hanno un sapore cattivo e non le vuole più mangiare.
Lei lo sa, quell'uomo si siederà al suo fianco e comincerà ad accarezzarla, anche se non vuole.
Comincerà a spogliarla come fosse una bambola e a toccarla come fosse una donna.
Sa che non servirà a niente piangere e urlare, non arriverà nessuno a portarla via da li, se non
quando sarà tutto finito.
L'unica cosa che può fare e chiudere gli occhi forte, in modo da non vedere nulla e con le mani
tapparsi le orecchie per non sentire quella voce, che diventa un rantolo sempre più sottile e lontano.
Camilla ha le dita di un ragno ma non sa tessere alcuna tela e il volto scavato da troppi giorni
malati, vorrebbe dire tante cose, ma non conosce le parole per spiegare il suo dolore.
Dipinge tutti i giorni la sua paura e la ricopre di colori, per seppellirla e non vederla più.
Aspetta che qualcuno le prenda la mano e le dica andiamo via, e non la porti più in un lettino,
dentro una stanza buia, con una luce fioca sul comodino che non fa altro che rendere giganti le
ombre.
Spera che da qualche parte ci sia un posto pieno di luce, tante finestre da dove entri il sole e
spalancandole possa arrivarle il profumo dei fiori e magari qualche farfalla.
Il profumo della vita.
Camilla ha solo quattro anni.
Li ha anche adesso, che il tempo è passato e ha coperto con una misericordia di giorni le sue ferite.
Quando si guarda allo specchio, e fa le faccia buffe, mettendosi un rossetto dai colori vivaci e anche
se le parole escono facili, certe cose non è riuscita a raccontarle a nessuno.
Ora quando guarda la gente in faccia, sarà il trucco, ma non si vede la sua paura.
Cammina a testa alta, con le sue scarpe di vernice rossa, facendo risuonare forte sull'asfalto il
rumore dei suoi tacchi.Il suo passo è veloce, quasi sicuro e non si volta mai indietro.
Ora sostiene lo sguardo degli uomini, diluisce i sorrisi e distribuisce sguardi in parti uguali,
sorseggiando bevande colorate in angoli di bar, pieni di gente, luce soffusa, risate, discorsi di
cortesia e cibo spazzatura.
Camilla gioca con il suo cellulare mentre aspetta il treno, cercando un messaggio che non c'e',
scorrendo immagini di posti lontani e città da cartolina con le loro vie piene di luci.
C'è chi dice che sogna, o almeno lo fa credere.
Nessuno però le ha ancora preso la mano, dicendole “Andiamo via” con voce gentile e occhi con
riflessi di mare.
E così quando la sera si trasforma in notte e le stelle sono una coperta su cui dormire, la porta si
chiude e improvvisa arriva l'angosciosa solitudine.
Nemmeno la luna con la sua ninna nanna riesce a tenerle compagnia.
In quei momenti, alcune volte, alla porta sente bussare la paura.
La voce ritorna, il respiro diventa corto, è c'e' bisogno di acqua per deglutire a fatica la pastiglia
colorata.
Sembra una caramella dal cattivo sapore.
Poi, seduta sul letto, con le gambe incrociate, controlla il respiro.
La voce si allontana, le ombre vanno via.
La bambina si rifugia nella donna, per un abbraccio caldo e sicuro.
Il cuore rallenta.
Sussurra.
A guardarla in un angolo un orsacchiotto sgualcito, con un nastrino rosso a cui è appeso un
cuoricino color oro.
Al posto degli occhi, due bottoni blu.
Camilla parla da sola e quando lo fa sussurra appena, portando la bocca vicino all'orecchio del suo
orsacchiotto sgualcito, che al posto degli occhi ha due bottoni blu e un nastrino rosso al collo a cui è
appeso un cuoricino color oro.
Camilla ha quasi sempre la testa china, quasi volesse guardarsi i piedi per non inciampare quando
cammina.
Evita di guardare le persone negli occhi e sembra non sentire quello che dicono. Alza la testa
quando la gente è lontana, e solo quando corre e l'aria le accarezza la faccia, ride e sembra felice.
Come farfalla su di un prato, si disseta di sole e di nuvole, inventando fiori su cui posarsi per
riposare un poco.
Camilla quando disegna si sporca le mani e i colori che usa sono sempre accesi, e non vuole mai
lavarseli via.
Il suo mondo ha mille porte e nessuna finestra, la sua stanza ha solo angoli in cui rifugiarsi, anche
se nessun posto, nessun luogo, sembra sicuro.
Camilla è una bambina e fa brutti sogni.
Forse è per questo che dorme raggomitolata su se stessa, vicino al suo orsacchiotto, in un letto con
una coperta piena di stelle e una luna che sorride.
Gli occhi chiusi, stretti, per non far passare nemmeno un filo di luce, il respiro affannato e un
martello che batte nel petto.
Nessuno riesce a calmarla, nemmeno la mamma.
Solo il sonno riesce a far breccia nella sua fortezza, e quando capisce che sta arrivando, si lascia
andare nelle sue braccia, sperando la trascini lontano da li, verso un nuovo giorno, una nuova luce.
Camilla ha paura della sera, e a volte fa fatica a dormire.
Perchè c'e' sempre la solitudine prima della notte.
Osserva le ombre della sua stanza, le vede apparire dagli angoli, dietro ai mobili, le sente arrivare da
dietro la porta.
Ma i suoi mostri non sono nascosti nell'armadio o sotto il letto, non hanno occhi grandi e rossi,
come quelli di tutti gli altri bambini.
Camilla tende l'orecchio per ascoltare i passi, perchè il suo mostro non vola, ne sputa fuoco, il suo
mostro cammina.
Si avvicina a lei senza fretta, con un ghigno dipinto sul volto, che solo ad un occhiata distratta può
sembrare un sorriso. Mentre si avvicina non le toglie gli occhi di dosso, poi apre le mani mostrando
le sue caramelle.
Ma ha imparato che hanno un sapore cattivo e non le vuole più mangiare.
Lei lo sa, quell'uomo si siederà al suo fianco e comincerà ad accarezzarla, anche se non vuole.
Comincerà a spogliarla come fosse una bambola e a toccarla come fosse una donna.
Sa che non servirà a niente piangere e urlare, non arriverà nessuno a portarla via da li, se non
quando sarà tutto finito.
L'unica cosa che può fare e chiudere gli occhi forte, in modo da non vedere nulla e con le mani
tapparsi le orecchie per non sentire quella voce, che diventa un rantolo sempre più sottile e lontano.
Camilla ha le dita di un ragno ma non sa tessere alcuna tela e il volto scavato da troppi giorni
malati, vorrebbe dire tante cose, ma non conosce le parole per spiegare il suo dolore.
Dipinge tutti i giorni la sua paura e la ricopre di colori, per seppellirla e non vederla più.
Aspetta che qualcuno le prenda la mano e le dica andiamo via, e non la porti più in un lettino,
dentro una stanza buia, con una luce fioca sul comodino che non fa altro che rendere giganti le
ombre.
Spera che da qualche parte ci sia un posto pieno di luce, tante finestre da dove entri il sole e
spalancandole possa arrivarle il profumo dei fiori e magari qualche farfalla.
Il profumo della vita.
Camilla ha solo quattro anni.
Li ha anche adesso, che il tempo è passato e ha coperto con una misericordia di giorni le sue ferite.
Quando si guarda allo specchio, e fa le faccia buffe, mettendosi un rossetto dai colori vivaci e anche
se le parole escono facili, certe cose non è riuscita a raccontarle a nessuno.
Ora quando guarda la gente in faccia, sarà il trucco, ma non si vede la sua paura.
Cammina a testa alta, con le sue scarpe di vernice rossa, facendo risuonare forte sull'asfalto il
rumore dei suoi tacchi.Il suo passo è veloce, quasi sicuro e non si volta mai indietro.
Ora sostiene lo sguardo degli uomini, diluisce i sorrisi e distribuisce sguardi in parti uguali,
sorseggiando bevande colorate in angoli di bar, pieni di gente, luce soffusa, risate, discorsi di
cortesia e cibo spazzatura.
Camilla gioca con il suo cellulare mentre aspetta il treno, cercando un messaggio che non c'e',
scorrendo immagini di posti lontani e città da cartolina con le loro vie piene di luci.
C'è chi dice che sogna, o almeno lo fa credere.
Nessuno però le ha ancora preso la mano, dicendole “Andiamo via” con voce gentile e occhi con
riflessi di mare.
E così quando la sera si trasforma in notte e le stelle sono una coperta su cui dormire, la porta si
chiude e improvvisa arriva l'angosciosa solitudine.
Nemmeno la luna con la sua ninna nanna riesce a tenerle compagnia.
In quei momenti, alcune volte, alla porta sente bussare la paura.
La voce ritorna, il respiro diventa corto, è c'e' bisogno di acqua per deglutire a fatica la pastiglia
colorata.
Sembra una caramella dal cattivo sapore.
Poi, seduta sul letto, con le gambe incrociate, controlla il respiro.
La voce si allontana, le ombre vanno via.
La bambina si rifugia nella donna, per un abbraccio caldo e sicuro.
Il cuore rallenta.
Sussurra.
A guardarla in un angolo un orsacchiotto sgualcito, con un nastrino rosso a cui è appeso un
cuoricino color oro.
Al posto degli occhi, due bottoni blu.
martedì 15 agosto 2017
Opere di Egidio Belotti
E
poi, solo silenzio
‘Lascia che sia fiorito Signore il
suo sentiero
quando a te la sua anima e al mondo
la sua pelle
dovrà riconsegnare quando verrà al
tuo cielo
là dove in pieno giorno risplendono
le stelle’.
‘Preghiera in
Gennaio’ F. De Andrè
E rieccoci sulla stessa scena
con il silenzioso spessore dell’anima
perdersi nei percorsi immaginati,
sui muri sgretolati, anche sulle briciole
di pianto rinvenute nella fitta agenda
dei sogni:
e ti rivedo - afflitto -
nella tua
dignitosa incuranza
su questa stessa via per l’ultima
volta
con biglietto di sola andata,
prima di regalare la tua fragile
vita
alle stelle, tu, infelice e perduto
come sempre, nella difficile libertà
di scomparire: di quel giorno
ricordo forse la pioggia,
di certo le tue dita affusolate
nello stridere del treno
accarezzare questo tempo
incerto - indifferente -
così indaffarato da scordare
anche la morte: e poi solo
silenzio.
In
ricordo di E. R.
Improvvisa
una nuvola di fumo
Lenti, con le spalle pesanti, avvolti
nei vostri fazzoletti
rossi, baciati dalla fresca brezza di
Bisalta*che vi assiste,
sfiorati appena dalla vostra sofferta allegoria
di pensieri
nel silenzio immacolato dell’attesa: poi,
improvvisa,
quella nuvola di fumo in dissolvenza, ed
ecco
la notte della mente nel commiato del
volo rallentato
che finisce e, immaginato, quello
sguardo dolce di dolore
mite di mamma triste, battito di ciglia tra
apparenze
e trasparenze, una smorfia di dolore senza
lamento
o commozione come i forti, carezzati dal
freddo
nelle ossa a regalare la vostra preziosa
giovinezza
nella decimazione dei minuti e
consegnare a noi
la ferma volontà di resistenza ora e
sempre,
anche nei mattini inquieti, quando la
speranza si fa breve
e tace sulle pallide paludi di una
storia quasi priva
di voce, noi, cavalieri erranti senza
meta,
*montagna che sovrasta la valle Pesio.
In ricordo di Botto Celestino e di
Suetta Carlo, caduti in combattimento in località Vigna di Chiusa Pesio (CN) il
9 settembre ‘44.
Opera vincitrice di Alessandro Cuppini (Bergamo) - satira 2017
L
A B A
R Z E
L L E
T T A
D I M
A N S
O U R
Certo
che le barzellette bisogna saperle raccontare, ci diciamo asciugandoci le
lacrime dopo un exploit dei nostri grandi comici. Ma il modo di raccontarle in
realtà è diverso da paese a paese, e non è detto che il successo ottenuto in un
certo luogo sia ripetibile in un altro. Quando, per esempio, un arabo racconta
una barzelletta, non lo fa come siamo abituati a sentire noi in occidente. Non
è come se vi trovaste di fronte ad un Bramieri che già trent’anni fa raccontava
battute fulminanti della durata di dieci secondi. Non lo fa nemmeno come faceva
il grande Walter Chiari, capace di tirare in lungo il sarchiapone per dieci minuti. No, la barzelletta di un arabo dura
molto, molto di più.
Quando qualcuno in occidente inizia a
raccontare una barzelletta, tutto in noi, mente e corpo, si dispone alla
risata. I muscoli facciali si irrigidiscono pronti ad esplodere nello
sghignazzo liberatorio e questo atteggiamento del viso viene retto per qualche
tempo, quello usuale di racconto di una barzelletta. Ma se il raccontatore è un
arabo è bene rilassarsi, perché dopo cinque minuti i muscoli cominciano ad
intorpidirsi e a dolere e non reggereste quella tensione per tutta la durata
della sua barzelletta. La sua è una storia vera e propria e, se siete a tavola
come ero io quella sera al Cairo, è meglio che vi rassegnate a lasciare che il
grasso del vostro montone si rapprenda in un angolo del piatto, che il vostro
cuscus e le vostre delicate verdure di contorno si raffreddino del tutto,
mentre voi vi appoggiate allo schienale della sedia e con la faccia più seria
di questo mondo aspettate che la barza
si sviluppi e prenda forma, coi tempi necessari al narratore e conformi alla
tradizione, fino alla conclusione che non procura mai uno sguaiato scoppio di
risa, ma tutt’al più un increspamento di labbra in una smorfia sorridente.
Avevo invitato a cena Mansour, un
personaggio importante che dovevo tenermi buono se ci tenevo a prendere dal
cliente egiziano un importante ordine di dissalatori. Eravamo in un ristorante
a Zamalek, un’isola in mezzo al Nilo, un elegante quartiere di ambasciate e
ricche residenze immerse nel verde. Mansour era un signore raffinato e discendente
da nobili lombi. Preferiva esprimersi in francese che considerava lingua molto
più adatta all’occasione, evitando la sguaiataggine dell’inglese, che riteneva
la lingua degli affari: quella sera non si parlava di affari. Aveva
atteggiamenti e stile raffinato da ambasciatore d’antan, un’abilità e un fascino nella conversazione che ricordava
quello in uso nel ’700. Eravamo seduti ad un tavolo presso il ramo orientale
del Nilo, in quattro: Mansour, la moglie e un’amica della moglie che lui aveva
avuto la finezza di invitare:
Mi sono permesso di invitare anche la signora Tal dei Tali, mi aveva detto, sa,
per l’equilibrio della conversazione.
L’equilibrio
della conversazione: una gentilezza nei riguardi miei e della moglie, una cosa
a cui io, che avevo invitato solo Mansour e signora, non avrei mai pensato.
Era metà ottobre: la brezza che veniva dal
fiume era fresca, le signore tenevano uno scialle a proteggersi le spalle nude.
Le chiacchiere fluivano leggere nel ricercato francese di Mansour che teneva
banco con arte sopraffina, variando discorsi seri a leggeri, domande
cerimoniose a risposte gentili. La sua conversazione spaziava su argomenti
disparati, senza mai soffermarsi su ciascuno più del tempo necessario a
renderlo noioso.
Venne a parlare dei tempi antichi in cui
l’Egitto era sottoposto al governo dei califfi turchi.
A questo proposito c’è una graziosa storia che ricordo, disse.
Quasi ‘une blague’,
aggiunse, una barzelletta. Volete che ve la racconti?
Domanda retorica, che però la sua cortesia
gli imponeva. Abbandonammo le posate sul piatto e ci apprestammo ad ascoltare
una storia che per quanto Mansour la accorciasse tenendo conto dei miei gusti
occidentali non poteva durare meno di venti minuti.
Si svolge ai tempi della dominazione turca. Ibrahim Pascià, califfo
dell’Impero, era in viaggio nel deserto con la sua lunga carovana di cammelli.
Nella ricca città di Asyut lo aspettava il Gran Visir Harun-al-Wahda per un
importante affare. Erano già molti giorni che marciava a tappe forzate perché
il Gran Visir gli aveva ordinato di raggiungerlo il più in fretta possibile. Il
cammino era lungo e faticoso, ma Ibrahim Pascià era un uomo molto giusto e
saggio e ne sopportava pazientemente i disagi.
Una sera la carovana stava entrando in
un piccolo villaggio per fermarsi per la notte. Ibrahim Pascià era appollaiato
sul suo cammello, circondato dalle sue guardie. Percorrendo uno stretto vicolo,
una persiana si aprì all’improvviso e colpì al volto proprio lui, Ibrahim
Pascià. L’incidente gli procurò un piccolo taglio sulla fronte. Il califfo
scese dal cammello. Poiché era un uomo molto giusto e saggio e lento all’ira,
si passò le dita nel folto della barba e disse:
‘Vedete dunque il volere del
Misericordioso: dovrò fare giustizia di tutto questo. Conducetemi nella Sala di
Giustizia.’
Il sindaco del villaggio profondendosi
in mille scuse lo accompagnò nella Sala di Giustizia dove abitualmente si
svolgevano i processi.
‘Convocate l’inquilino di quella casa’,
disse Ibrahim Pascià.
Fu portata l’inquilina Fatima che
piangendo si gettò ai piedi del califfo dicendo:
‘Abbi pietà, Luce del Firmamento!’
Ma Ibrahim Pascià passandosi le dita
nel folto della barba disse:
‘Il Gran Visir Harun-al-Wahda mi ha
comandato di raggiungerlo al più presto nella ricca città di Asyut e tu vedi
ora, Fatima, come questo incidente ritardi il mio cammino. Io infatti dovrò
fare giustizia di questo, dopodiché potrò riprendere il mio viaggio. Che hai da
dire a tua discolpa?’
Rispose Fatima:
‘Vedi, Luce d’Oriente, che donna misera
sono! La casa è di proprietà di Omar e non io ho stabilito che fosse aperta una
finestra sul vicolo ad un’altezza così pericolosa. E tuttavia le finestre sono
fatte per essere aperte, soprattutto al tramonto quando l’aria rinfresca.
Vorrai forse ritenermi responsabile di avere aperta una finestra per dare aria
alla stanza ove abito?’
Ibrahim Pascià era un uomo molto giusto
e saggio e lento all’ira; si passò le dita nel folto della barba e disse:
‘Convocate il proprietario della casa.’
Gli fu portato il proprietario Omar che
piangendo gli si gettò ai piedi ed esclamò:
‘Abbi pietà, Luce del Firmamento!’
Ma Ibrahim Pascià passandosi le dita
nel folto della barba disse:
‘Il Gran Visir Harun-al-Wahda mi ha
comandato di raggiungerlo al più presto nella ricca città di Asyut e tu vedi
ora, Omar, come questo incidente ritardi il mio cammino. Io infatti dovrò fare
giustizia di questo, dopodiché potrò riprendere il mio viaggio. Che hai da dire
a tua discolpa?’
Rispose Omar:
‘Vedi, Luce d’Oriente, che uomo misero
io sono! La casa io l’ho acquistata così com’era dall’architetto Fatir. E
tuttavia, poiché non mi serviva, l’ho subito ceduta in affitto. Vorrai forse
ritenermi responsabile di un incidente avvenuto in una casa che io non ho
costruito né abitato mai?’
Ibrahim Pascià era un uomo molto giusto
e saggio e lento all’ira; si passò le dita nel folto della barba e disse:
‘Convocate l’architetto della casa.’
Gli fu portato l’architetto Fatir che
piangendo gli si gettò ai piedi ed esclamò:
‘Abbi pietà, Luce del Firmamento!’
Ma Ibrahim Pascià passandosi le dita
nel folto della barba disse:
‘Il Gran Visir Harun-al-Wahda mi ha
comandato di raggiungerlo al più presto nella ricca città di Asyut e tu vedi
ora, Fatir, come questo incidente ritardi il mio cammino. Io infatti dovrò fare
giustizia di questo, dopodiché potrò riprendere il mio viaggio. Che hai da dire
a tua discolpa?’
Rispose Fatir:
‘Vedi, Luce d’Oriente, che uomo misero
io sono! La casa io l’ho costruita solida ed ampia. E tuttavia non potevo
ignorare le disposizioni di prevedere una finestra per ogni stanza, come
prescritto dal sindaco di questo villaggio. Vorrai forse ritenermi responsabile
per aver rispettato le leggi della Sacra
Porta?’
Ibrahim Pascià era un uomo molto giusto
e saggio e lento all’ira; si passò le dita nel folto della barba e disse:
‘Convocate il sindaco del villaggio.’
Gli fu portato il sindaco Akbar che
piangendo gli si gettò ai piedi ed esclamò:
‘Abbi pietà, Luce del Firmamento!’
Ma Ibrahim Pascià passandosi le dita
nel folto della barba disse:
‘Il Gran Visir Harun-al-Wahda mi ha
comandato di raggiungerlo al più presto nella ricca città di Asyut e tu vedi
ora, Akbar, come questo incidente ritardi il mio cammino. Io infatti dovrò fare
giustizia di questo, dopodiché potrò riprendere il mio viaggio. Che hai da dire
a tua discolpa?’
Rispose Akbar:
‘Vedi, Luce d’Oriente, che uomo misero
io sono! Ho dato disposizione di prevedere una finestra per ogni stanza. E
tuttavia non potevo ignorare che agli abitanti di questo villaggio puzzano
molto i piedi perché mangiano il formaggio di Mehmet il capraio. Vorrai forse
ritenermi responsabile per aver evitato che una famiglia, di notte, morisse di
soffoco?’
Ibrahim Pascià era un uomo molto giusto
e saggio e lento all’ira; si passò le dita nel folto della barba e disse:
‘Convocate il capraio del villaggio.’
Gli fu condotto Mehmet il capraio che
piangendo gli si gettò ai piedi ed esclamò:
‘Abbi pietà, Luce del Firmamento!’
Ma Ibrahim Pascià passandosi le dita
nel folto della barba disse:
‘Il Gran Visir Harun-al-Wahda mi ha
comandato di raggiungerlo al più presto nella ricca città di Asyut e tu vedi
ora, Mehmet, come questo incidente ritardi il mio cammino. Io infatti dovrò
fare giustizia di questo, dopodiché potrò riprendere il mio viaggio. Che hai da
dire a tua discolpa?’
Rispose Mehmet:
‘Vedi, Luce d’Oriente, che uomo misero
io sono! Produco un ottimo formaggio che però fa puzzare molto i piedi di
coloro che lo mangiano. E tuttavia le mie capre si nutrono dell’erba che cresce
nel campo di Zelabdim; vorrai forse ritenermi responsabile per non aver fatto
morire di fame le mie greggi?’
Ibrahim Pascià era un uomo molto giusto
e saggio e lento all’ira; si passò le dita nel folto della barba e disse:
‘Convocate il proprietario del campo.’
Gli fu condotto il proprietario
Zelabdim che piangendo gli si gettò ai piedi ed esclamò:
‘Abbi pietà, Luce del Firmamento!’
Ma Ibrahim Pascià passandosi le dita
nel folto della barba disse:
‘Il Gran Visir Harun-al-Wahda mi ha
comandato di raggiungerlo al più presto nella ricca città di Asyut e tu vedi
ora, Zelabdim, come questo incidente ritardi il mio cammino. Io infatti dovrò
fare giustizia di questo, dopodiché potrò riprendere il mio viaggio. Che hai da
dire a tua discolpa?’
Rispose Zelabdim:
‘Vedi, Luce d’Oriente, che uomo misero
io sono! La mia famiglia vive dell’affitto di quel campicello. E tuttavia lo
annaffio tutti i giorni con l’acqua del pozzo di Abu Fazel l’acquaiolo, senza
la quale l’erba seccherebbe. Vorrai forse ritenermi responsabile di aver voluto
sfamare i miei bambini innaffiando il campo?’
Ibrahim Pascià era un uomo molto giusto
e saggio e lento all’ira; si passò le dita nel folto della barba e disse:
‘Convocate il proprietario del pozzo.’
Gli fu condotto Abu Fazel l’acquaiolo
che piangendo gli si gettò ai piedi ed esclamò:
‘Abbi pietà, Luce del Firmamento!’
Ma Ibrahim Pascià passandosi le dita
nel folto della barba disse:
‘Il Gran Visir Harun-al-Wahda mi ha
comandato di raggiungerlo al più presto nella ricca città di Asyut e tu vedi
ora, Abu Fazel, come questo incidente ritardi il mio cammino. Io infatti dovrò
fare giustizia di questo, dopodiché potrò riprendere il mio viaggio. Che hai da
dire a tua discolpa?’
Rispose Abu Fazel:
‘Vedi, Luce d’Oriente, che uomo misero
io sono! Per rendere l’acqua potabile io aggiungo polvere di safran, radici di
mandragola e scaglie di fatipur azzurro.’
Ibrahim Pascià era un uomo molto giusto
e saggio e lento all’ira; si passò le dita nel folto della barba e disse:
‘Tagliategli la testa.’
A sentire la sentenza Abu Fazel balzò
sul davanzale della finestra e si gettò nel buio; le guardie subito corsero
fuori e presero a rincorrerlo tra i vicoli del villaggio. Intanto Ibrahim
Pascià, soddisfatto di aver reso giustizia e sicuro che l’acquaiolo sarebbe
presto stato catturato, si mise a letto e subito s’addormentò.
Ma Abu Fazel non per niente era
acquaiolo e conosceva tutti i pozzi e le fogne del villaggio; per sfuggire
all’inseguimento si era perciò gettato in un labirinto di cunicoli in mezzo ai
quali presto le guardie si erano perdute. Il mattino dopo il capo delle guardie
e il sindaco del villaggio si presentarono a Ibrahim Pascià tutti tremanti:
‘Vedi dunque, Luce del Firmamento, il
volere dell’Altissimo: Abu Fazel l’acquaiolo ci è sfuggito.’
Ibrahim Pascià era un uomo molto giusto
e saggio e lento all’ira; si passò le dita nel folto della barba e disse:
‘Giustiziatene un altro!’
Opere Vittore Giraudo
VASCOROSSI.zip
Scritta il 20 Marzo 2017, ore 13:03 Vittore Giraudo
Sintesi delle canzoni di Vasco Rossi: Io bacio
Lei bacia Essi baciano Io vorrei baciare Io
vorrei essere baciato Io tradisco Tu tradisci Lui
tradirà Io tradirò Noi tradiremo Essi tradiranno
Più che delle canzoni dei ripassi sul verbi
MISSONI
Scritta il 06 Marzo 2017, ore 23:10
Vittore Giraudo
Qui bisogna
Che facciamo
auto-critica
O almeno moto-critica,
O bici-critica
Ognuno
Vive catartico
In mezzo a mille
Mare Artico
Siamo In-kazaki neri
E vogliamo
Tutto gratis
Qui non c’è
una buona aria
La cosa che ha colpito di più
È l’aviaria
Cerchiamo
Un Nulla-Ostia
Anche saltuario
Per un Santuario
Tutti che urlano
Cose incensate
Tutti che cercano
L’appagamento
Che non sia
A pagamento
I capi-reparto comprano
villa + barbecue + camper
Già coi tre cartelli fucsia
“Vendesi”
Il mondo ormai
È solo immagine
Ci comanda
Il Nulla
Tenente
Dell’esercito
A proposito di Eserciti
Siamo circondati
da un esercito
Di fotografi
Figli di Minolta
Anche perché il mondo
Ormai è tutto
Connesso
Via Eternit
Il mondo è tutto un film
Scamarcio fino al collo
Dall’Europa
scappano con La Bruxellosi
Dal Sud Europa
Si danno all’alcool
Ed alle donne
Nel mediterraneo
Le ONG si nutrono
Con la malnutrizione
Dei profughi
Dall’Erasmus
Tornano
Tutte incinta
In Spagna in TV
Danno il giro
Della Catalogna
In Italia non danno
Nemmeno il giro
Della Trapunta
Anzi
Da noi danno il giro e basta
Lacost Quel che Lacost
Lo devo dire
Ormai in Italia
Anche i cafoni
Vestono Missoni
Nel senso che
Tra un po’
Anche Missoni
Si vestirà
Da loro
Scritta il 20 Marzo 2017, ore 13:03 Vittore Giraudo
Sintesi delle canzoni di Vasco Rossi: Io bacio
Lei bacia Essi baciano Io vorrei baciare Io
vorrei essere baciato Io tradisco Tu tradisci Lui
tradirà Io tradirò Noi tradiremo Essi tradiranno
Più che delle canzoni dei ripassi sul verbi
MISSONI
Scritta il 06 Marzo 2017, ore 23:10
Vittore Giraudo
Qui bisogna
Che facciamo
auto-critica
O almeno moto-critica,
O bici-critica
Ognuno
Vive catartico
In mezzo a mille
Mare Artico
Siamo In-kazaki neri
E vogliamo
Tutto gratis
Qui non c’è
una buona aria
La cosa che ha colpito di più
È l’aviaria
Cerchiamo
Un Nulla-Ostia
Anche saltuario
Per un Santuario
Tutti che urlano
Cose incensate
Tutti che cercano
L’appagamento
Che non sia
A pagamento
I capi-reparto comprano
villa + barbecue + camper
Già coi tre cartelli fucsia
“Vendesi”
Il mondo ormai
È solo immagine
Ci comanda
Il Nulla
Tenente
Dell’esercito
A proposito di Eserciti
Siamo circondati
da un esercito
Di fotografi
Figli di Minolta
Anche perché il mondo
Ormai è tutto
Connesso
Via Eternit
Il mondo è tutto un film
Scamarcio fino al collo
Dall’Europa
scappano con La Bruxellosi
Dal Sud Europa
Si danno all’alcool
Ed alle donne
Nel mediterraneo
Le ONG si nutrono
Con la malnutrizione
Dei profughi
Dall’Erasmus
Tornano
Tutte incinta
In Spagna in TV
Danno il giro
Della Catalogna
In Italia non danno
Nemmeno il giro
Della Trapunta
Anzi
Da noi danno il giro e basta
Lacost Quel che Lacost
Lo devo dire
Ormai in Italia
Anche i cafoni
Vestono Missoni
Nel senso che
Tra un po’
Anche Missoni
Si vestirà
Da loro
mercoledì 9 agosto 2017
Poesia vincitrice di Pietro Baccino - sezione B
Non
hai un volto
Non hai un volto, madre di mio padre,
che, mettendolo al mondo, ti spegnesti
senza tua colpa, sconfitta negli anni
dalla fatica di tutti i tuoi figli
e dal lavoro nel campo, dal fieno
rivoltato d’estate, dalla vanga
lucida, ma pesante, dei tuoi giorni
più giovani, ma orbati di sorrisi.
Al paese è rimasta la memoria
del tuo spedito andare, d’energie
ridondanti a servire il tuo destino.
E’ rimasta, ma breve, e io soltanto
oggi la segno con triste grafia
sul diario dei ricordi perituri.
Nel registro dei morti, là in Comune,
si ritrova il tuo nome, ma non c’è
la sveglia antelucana d’ogni giorno
a curare i tuoi figli e quattro pecore
dagli occhi dolci nella stalla piccola.
Non c’è la cura d’impastar farina
sulla madia e non senti il buon profumo
della pagnotta calda sulla brace.
Non c’è la schiena curva nel
raccogliere
tra gli irti ricci le castagne lucide,
non c’è il gelo che brucia le tue dita
quando spacchi la legna nell’inverno.
Non ci sono i tuoi sogni, e i tuoi
pensieri
resteranno segreti per l’eterno
fluire di stagioni, che cancellano
l’esile segno dell’umano esistere.
Così, mentre il tuo mondo va svanendo,
quel mondo che hai lasciato da
cent’anni
senza che resti un segno del tuo volto,
io voglio dedicarti il mio pensiero.
martedì 18 luglio 2017
«Parole ed Immagini», cuneesi e toscani
Nota caratteristica di alcune delle ultime edizioni è il
costante tentativo di adeguarsi ai tempi, come, nel complesso, si cerca di
preparare un morbida “successione”, con i giovani sempre più centrali nelle
iniziative...
Buono è stato il pubblico già alla inaugurazione, con
presentazione di pubblicazioncina-catalogo sullo scomparso pittore e scrittore
Augusto Boccalatte, residente a Boves negli ultimi anni, cui è stata dedicata
esposizione «ambientata». Saluto dell’Amministrazione comunale ha portato
l’assessore Raffaella Giordano.
La temperatura nel pomeriggio della premiazione
dell’iniziativa ormai “storica” per eccellenza (accanto alle varie esposizioni,
rinnovate ogni anno, curando adeguato “taglio” e presentazione, dal suggestivo
“Vintage”, al creativo Adriano Pellegrino “Griota”, a Riccardo Balestra e le
sue “donne”), domenica 16 luglio, era calda ma meno fastidiosa dei giorni
precedenti, anche con brezzina piacevole. Si trattava del concorso “Parole ed
immagini”, che compie ventisette anni. Vista la grande Messa in Piazza
Galimberti di quel pomeriggio, col Vescovo che ricordava i duecento anni della
Diocesi, annullate tutte le iniziative parrocchiali, la cerimonia è stata
tenuta in “anfiteatro” dietro l’oratorio, luogo assolutamente adatto.
Momento di ricordo è stato dedicato a “compagni di viaggio”
scomparsi come la poetessa Luigina
Gribaudo Falco, il “conservatore della memoria” Gino Racca, ed il poeta di
Racconigi Antonio Tavella (a cura di Candida Rabbia).
I partecipanti continuano ad essere, complessivamente, oltre
i trecento (qualcosa in più della popolazione della frazione), costanti da vari
anni, come sempre provenienti da ogni parte d’Italia. Ma come quest’anno ricca è stata la presenza
alla sezione non competitiva «Invito alla scrittura», ma vivace anche quella
della sezione di poesia-prose dedicate ai giovani.
Dei circoli fotografici della zona la consueta numerosa
partecipazione è arrivata dall’Espera di Roccavione (presente alla premiazione
era il Presidente, Pierluigi Peluso).
Oltre ai premiati
provenienti dai dintorni di Cuneo, comunque, anche quest’anno Luciano Ravizza scrittore
astigiano di Castell’Alfero (con ricordo
di Tavella), il pisano Paolo Ferretti con la moglie Michela Bernini (ormai “di
casa” a Mellana, premiati entrambi), il plurivincitore savonese Pietro Baccino,
la fotografa e scrittrice fiorentina Sandra Ceccarelli…
Protagonista di deliziosi momenti di “lettura”, a fianco di
Lelia Marizza e Giorgio Casiraghi, è stato anche il poeta satirico Vittore
Giraudo... Candida Rabbia ha curato omaggio ad Antonio Tavella.
La giuria degli scritti, formata dai professori Valentina
Biarese, Sergio Carletto, Giorgio Casiraghi, e Alessandro Giordanetto, ha
dichiarato, per la sezione «poesia e prosa giovane” (autori sino a venti anni,
molti partecipanti, colonna portante dell’iniziativa, dal Liceo Novello di
Codogno di Lodi, del professor Maurilio Guercilena) vincitore il racconto “La Terra dei Sogni” di Anna Fenoglio, cuneese monregalese
giovane ma non al primo successo, anche terza con la poesia “La mia Finestra
Blu” e che ha preceduto il già premiato Matteo
Teruggi, di Codogno (Lodi), con “Vagabondando” (al solito opera non proprio
ottimista).
Nella
“Poesia a tema libero”
ha trionfato il savonese Pietro
Baccino con la “Non hai un volto”,
delicato ricordo della nonna mai
conosciuta, con terzo posto per altra sua opera, dedicata alla emigrazione, “Nelle
terre lontane”. Tra di esse si è collocato Egidio Belotti con una,
deandreiana, “Improvvisa una nuvola di
fumo”, anche seconda, con originale lavoro grafico di Franco Blandino, nella
sezione di abbinamento “Parole ed Immagini”. Per
la «Prosa» si son confermati due storici vincitori: “La Galilea” di Nicolina Ros, San Quirino (Pordenone), su
affondamento del piroscafo nel 1942, ha preceduto “Camilla” di Stefano
Borghi, Milano, sulla pedofilia. Al terzo posto è il filosofico “Gallerie” di
Pietro Rainero, Acqui Terme (Alessandria), segnalata è “Gasprin ed le
feje (Gasprin delle pecore)” di Silvio Marengo, Fossano (Cuneo), fenogliana e
langarola.
Per
la satira l’ormai abituale vincitore, il cuneese Vittore Giraudo ha dovuto
“accontentarsi” di un secondo e terzo posto, con le poesie, graffianti come al
solito, “Missoni” e
“Vascorossi.zip”. Il cesto con prodotti tipici, e libri, è andato ad una prosa
gradevolissina ed intelligente, “La barzelletta di Monsour” di Alessandro
Cuppini, Bergamo.
Per la prosa in dialetti e lingue naturali sono
stati segnalati Attilio Rossi di Carmagnola, con “Antrames a cel e
terra (Tra cielo e terra)” ed Adriana Chiabrando, di Torino, con
Segnalata “El calié del Borgh Neuv (Il calzolaio del
Borgo Nuovo)”.
Per le poesie la vittoria è andata, ex
aequo, allo scomparso Antonio Tavella, di Racconigi (Cuneo), con “’N rocolé (Un
tubare di colombe)”, “A me smija d’arcordete (Mi sembra di ricordarti)”, “A
fermé-me ‘nt un seugn (“A fermarmi in un sogno”) ed al savonese Pietro Baccino,
con “Inventori (Inventario)”, “Er viag (Il viaggio)” e “Cungè (Congedo)”,
che precedono “Munnu amèaru (Mondo amaro)” di Angelo Canino, Acri (Cosenza) e
“Er mond der listeurji (“Il mondo dei sogni”) di Elda Rasero, Portacomaro
(Asti)
La fiorentina Sandra
Ceccarelli, con “Le parole”, ha vinto la sezione simbolo “Parole ed Immagini”,
precedendo i fossanesi Egidio Belotti e Franco Blandino, Fossano (Cuneo), con
“E poi solo silenzio, e alto toscano, Andrea Bartalesi, di Porcari (Lucca), con
“Il quercione all’alba”. Segnalati sono stati Angela Colapinto e Nicolò
Bizzini, di Bologna, con l’intensa opera “Haiku”.
Per la parte fotografica la
bovesana Francesca Barbero (del fotoclub di Roccavione “Espera”) ha vinto la
prima sezione “Autoritratto, autoscatto” (anche “miglior fotografia
dell’edizione”), precedendo Paolo Bussone, di Cervasca (Cuneo) ed ancora Sandra
Ceccarelli.
Per “Il mio paese, la mia
città” ha trionfato bella immagine di Piazza Galimberti dopo un temporale di Bianca
Maria Capanna, precedendo Antonio
Cunico, di Vicenza, con “Attraverso i portici”, ed il bovesano Michele
Siciliano, (che ha abbinato il suo paese alla grande montagna che lo sovrasta).
Segnalazioni sono arrivate per Gino Boscato, di Vittorio Veneto (Treviso), e Cristina
Castellino, di Cuneo, con immagini in bianco e nero di Bruxelles.
Per “Il colore arancio” ha trionfato Antonio Cunico, precedendo i cuneesi Aurora
Picco di Roccavione e Lelio Giraudo, di Boves.
Per “Fumo e fumatori” (ottimo il livello della sezione),
Paolo Ferretti, di Fornacette di Pisa, ha preceduto Giovanni Barbieri, di Cavalese
(Trento), con segnalazioni a Debora Negro di Beinette (Cuneo) e Paolo Bussone, di
Cervasca (Cuneo).
Per “Un racconto in quattro scatti” (decina di lavori
bellissimi), Michela Bernini, di Fornacette di Pisa, ha preceduto Ermanno Agostinetto, di Cuneo (immagini
davvero in “bianco e nero”) e Francesca Barbero, di Boves.
Foto di Beppe Andreis
lunedì 17 luglio 2017
Verdetto XXVII Concorso Parole ed Immagini 2017
Verdetto
“Parole ed Immagini 2017” – XXVII
Edizione
Scritti
La giuria della
XXVII edizione del “Concorso Parole ed Immagini”, per quanto riguarda gli
“scritti”, formata da Valentina Biarese, Giorgio Casiraghi, Sergio Carletto
(supplente) ed Alessandro Giordanetto, si è riunita, giovedì 6 luglio, alle 19,
nella sede del Circolo, esprimendo il seguente verdetto.
Poesia e
prosa giovane-
1° “La
Terra dei Sogni” di Anna Fenoglio, Cuneo
- Il giovane autore
si immerge in un contesto favolistico per ricordarci quanto importante sia non
rinunciare mai alla parte migliore di noi stessi, ma coltivarla con
ostinazione.
2°
“Vagabondando” di Matteo Teruggi, Codogno (Lodi)
- Pressante e urgente il messaggio che ci
arriva dal componimento poetico. L’immagine notturna avvolge un’umanità
disperata vessata dalle leggi anziché amata.
3° “La mia Finestra Blu” di Anna Fenoglio, Cuneo
- Ritmo e fresche pennellate di colore ci
rendono tutto l’immaginario e la poetica del giovane autore.
Poesia
a tema libero in italiano
1° “Non
hai un volto” di Pietro Baccino, Savona
-Si realizza il miracolo della
poesia, torna a vivere nelle immagini evocate dalla lirica una nonna mai
conosciuta, morta di parto. E’ ciò che un grande chiamava la “corrispondenza
d’amorosi sensi”
2° “Improvvisa una nuvola di fumo”
di Egidio Belotti, Fossano (Cuneo)
-Il sacrificio
delle giovani vite dei partigiani, le loro convinzioni morali risplendono in
questa riuscita poesia narrativa
3° “Nelle terre lontane” di Pietro
Baccino, Savona
- Riuscita
rievocazione di un periodo in cui erano gli italiani a essere migranti….
Prosa
a tema libero in italiano
1° “La
Galilea” di Nicolina Ros, San Quirino (Pordenone)
- Il racconto ricostruisce con precisione e
delicatezza i momenti cruciali dell’affondamento del piroscafo GALILEA,
silurato il 28 marzo 1942. Un esercizio di memoria davvero riuscito.
2° “Camilla” di Stefano Borghi,
Milano
- Prosa scandita e toccante che
affronta lo scottante tema di attualità della pedofilia dal punto di vista
della vittima. Per non essere indifferenti
3° “Gallerie” di Pietro Rainero, Acqui Terme
(Alessandria)
-Divertissement filosofico sull’infinito, il buio, il destino
discretamente riuscito.
Segnalata
“Gasprin ed le feje (Gasprin delle pecore)” di Silvio Marengo, Fossano (Cuneo)
-Interessante prova narrativa di sapore langarolo e fenogliano
Satira
1° “La barzelletta
di Monsour” di Alessandro Cuppini, Bergamo
- Con una piacevole scrittura l’autore riporta una novella che si rifà
alla lentezza e all’ironia della cultura araba.
2° “Missoni” di Vittore Giraudo, Cuneo
- L’autore
è capace di cogliere le pochezze del quotidiano con efficaci pennellate:
calenbours, assonanze, sciarade e buffe considerazioni si susseguono in una
piacevole lettura tra spasso e amarezza.
3° “Vascorossi.zip” di Vittore Giraudo, Cuneo
- Ironica
sintesi sulla povertà del linguaggio nei testi delle canzoni che l’autore ha
ricondotto a Vasco, anche se comune a gran parte della musica leggera e non.
Dialetti e lingue
naturali - poesie
1° ex aequo “’N rocolé (Un tubare di colombe)”, “A me smija d’arcordete (Mi
sembra di ricordarti)”, “A fermé-me ‘nt un seugn (“A fermarmi in un sogno”)
di Antonio Tavella, Racconigi
(Cuneo)
- Il sogno, i ricordi, il cielo fantasticando
in nottate augustane. Le tre poesie comunicano un messaggio di struggente
nostalgia pur nella loro estrema concisione. La cura del linguaggio è estrema a
partire dalla scelta accurata del lessico.
1° ex aequo “Inventori
(Inventario)”, “Er viag (Il viaggio)” e
“Cungè (Congedo)”
di Pietro Baccino, Savona
- Il mondo contadino
tutto fatica e dignitosa povertà, memoria d’infanzia, contemplato con
struggente nostalgia. L’esperienza dell’emigrazione al di là del mare e del
ritorno al borgo natìo. L’esistenza include in sé l’esperienza del congedo e
del ritorno. Tre testi poetici ricchi di immagini suggestive con un lessico
ricco di sfumature e scevro da qualsiasi ingenuità.
2° “Munnu amèaru (Mondo amaro)”
di Angelo Canino, Acri (Cosenza)
- Poesia di intenso impegno sociale che si fa
preghiera. Versi vergati in una lingua dura e scabra, antica, ricca di
risonanze mediterranee. Il progresso non ha cambiato il destino di sofferenza
dell’uomo.
3° “Er mond der listeurji (Il
mondo dei sogni)” di Elda Rasero, Portacomaro (Asti)
- Linguaggio essenziale asciutto ed intenso.
La natura (i rami) e le opere dell’uomo si intrecciano armonicamente sin quasi
a fondersi panicamente nel paesaggio.
Dialetti e lingue
naturali - prose (“Le
conte”)
Segnalata “Antrames a cel e terra
(Tra cielo e terra)” di Attilio Rossi, Carmagnola
- Il ritratto di una
famiglia modello. Testo ricco dal punto di vista del lessico e della forza
evocativa e immaginifica, anche se il tema non è del tutto originale.
Segnalata “El calié del Borgh Neuv (Il
calzolaio del Borgo Nuovo)” di Adriana Chiabrando, Torino
- Descrizione viva, accurata d’atmosfera. Un mestiere antico, un
forestiero d’incerta origine e la curiosità vorace di chi si affaccia al mondo
nella giovinezza per cose e persone. Testo valido nonostante la sua concisione.
Sezione “Parole ed Immagini
La giuria della
XXVII edizione del “Concorso Parole ed Immagini”, per quanto riguarda la
sezione “simbolo”, “Parole ed Immagini”, formata da Valentina Biarese, Chiara
Fenoglio, Chiara Mori, Giampaolo Angius e Sergio Carletto, si è riunita, nella
sede del Circolo, venerdì sera 30 giugno, alle 19, esprimendo il seguente verdetto.
1°
Sandra Ceccarelli, Firenze, con “Le parole”
-Adeguato nesso
tra la poesia e la bella immagine, specie nelle prime intensa strofe.
2°
Egidio Belotti e Franco Blandino, Fossano (Cuneo), con “E poi solo silenzio”
-Intensa
poesia che si dedica a lettura di note strofe di Fabrizio De Andrè, elaborando
ed abbinando ad originale immagine.
3°
Andrea Bartalesi, Porcari (Lucca), con “Il quercione all’alba”
-Ricco
abbinamento, di notevole livello stilistico, che unisce sia prosa che poesia a
due immagini del possente albero.
Segnalato
-
Angela Colapinto e Nicolò Bizzini, Bologna, con «Haiku»
-Immagine
originale, con un gioco di luci, ombre e vari toni di grigio, debole il legame
con un pur intenso haiku,
Fotografie
La giuria della
XXVII edizione del “Concorso Parole ed Immagini”, per quanto riguarda le
“fotografie”, formata da Grazia Bertano, Cornelio Cerato e Giorgio Olivero, si
è riunita la sera di mercoledì 28 giugno, alle 21, nella sede del Circolo
organizzatore, ed ha espresso il seguente verdetto.
1 - “Autoritratto, autoscatto”
1° Francesca
Barbero, Boves (Cuneo)
-Per “Autoritratto davanti allo specchio”, di
buona tecnica espositiva, ottima composizione, pulizia dell’immagine, frutto di
bella idea creativa e buona realizzazione. (Anche giudicata migliore foto
dell’edizione).
2° Paolo Bussone, Cervasca (Cuneo)
- Per la foto 1, autoritratto di eccellente
taglio fotografico, efficace, che rende particolarmente intensa l’espressività
del soggetto. Corretto e funzionale risulta l’utilizzo della profondità di
campo.
3° Sandra
Ceccarelli, Firenze
-Immagine carica di humor, spontaneità,
simpatia, capaci di offrire efficace autoritratto della personalità dell’autrice-soggetto,
rendendo superflue altre elaborazioni o la semplice cura dell’inquadratura (con
un ampio pavimento che par far cornice al suo “ingresso in scena”).
2 - “Il mio paese, la mia città”
1° Bianca
Maria Capanna, Cuneo
-La Giuria evidenzia un ottimo utilizzo della luce
ed il saper cogliere attimo ed inquadratura per una visione della cuneese
Piazza Galimberti inedita, con una composizione resa equilibrata anche grazie
all’immagine riflessa.
2° Antonio
Cunico, Vicenza
- Per “Attraverso i portici”,
immagine dalla composizione di equilibrio ottimale, vivacizzata dall’elemento
umano.
3° Michele
Siciliano, Boves (Cuneo)
-Per la foto 1 “Il mio
paese”, con Boves e la Bisalta, da sempre simbiotici, uniti in una unica
immagine, inquadratura globale, efficace e curatissima.
Segnalati
Gino Boscato, Vittorio Veneto (Treviso)
- Immagini equilibrate
della sua «Vittorio», con ricerca della prospettiva e del dettaglio
significativo, onde offrire un quadro complessivo della sua città.
Cristina Castellino, Cuneo
-Visione di Bruxelles (in
cui si sente, evidentemente, “a casa”) personale, affettuosa, in bianco e nero,
poesia fatta di “immagine di strada”, con buon occhio nel saperle cogliere.
3 -
“Il colore arancio”
1° Antonio Cunico, Vicenza
-Per la foto 3, “Riflessioni”, con inquadratura equilibrata e pulita.
L’assenza totale di elementi di disturbo conduce l’occhio di chi osserva
esattamente dove vuole indirizzarlo l’autore.
2°
Aurora Picco Roccavione (Cuneo)
-Per la foto 2,
elegante, con buon utilizzo della luce. Trattasi di idea originale, anche se
con l’arancio visto più nelle sue possibili variazioni...
3° Lelio Giraudo, Boves (Cuneo)
-Per la foto 2, composizione minimalista con attento utilizzo del
colore, caratteristiche che danno efficacia ad immagine prima di elementi
marcati, vistosi, deliziosamente fuori dal tempo.
4- “Fumo e fumatori”
1° Paolo Ferretti, Fornacette di Pisa
-Equilibrio
compositivo e colpo d’occhio rendono queste immagini (specie quella di gruppo
di fumatori) accattivanti. L’uso sapiente del bianco e nero accentua i
caratteri delle persone, dei fumatori colti in momento di relax, al bar.
2° Giovanni Barbieri, Cavalese (Trento)
-Per
gli scatti 1 e 2, in cui sono colti attimo ed inquadratura, per personaggi
molto “fotogenici”
Segnalati
Debora Negro di Beinette (Cuneo)
Lavoro che rappresenta reportage efficace, ricerca nello stile della
“foto di strada”. Interessante l’utilizzo del bianco e nero.
Paolo Bussone, Cervasca (Cuneo)
Ricerca molto estetica, a fissare i fugaci “giochi di fumo”.
5 - “Un racconto in quattro scatti”
1° Michela
Bernini, Fornacette di Pisa
-Per il reportage efficace e conciso, in cui
racconta storia molto italiana, del nostro stupendo Paese, di chiusura finale
di attività, decadenza della struttura, abbandono, degrado, cui aggiunge la
nota positiva finale di un recupero, tenendo aperta la porta alla speranza...
2° Ermanno
Agostinetto, Cuneo
-Per velocità e colpo d’occhio in un reportage efficace, ovviamente
tutto in “bianco e nero” adeguato, di buona qualità, sui festeggiamenti per una
grande vittoria sportiva (calcistica).
3° Francesca Barbero, Boves
-Per l’ottima tecnica fotografica, che insieme a sensibilità e modo di
vedere molto femminili, rendono pulito ed efficace un lavoro di documentazione
di performance artistica, sottolineando la già notevole espressività del
soggetto, Elisa Spagone.
Mellana di Boves, 16 luglio 2017
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