sabato 30 marzo 2019

Torelli terzo Parole ed Immagini


Sognare d’amore



I giovani turisti stranieri,

riescono a sognare d’amore,

persin sulle spiagge d’Adriatico,

sdraiati a guardare albe e tramonti,

tra frammenti di conchiglie...


Adalberto Torelli - Cuneo



Giovanni Cappello vincitore sezione fotografica


venerdì 29 marzo 2019

Gabriele Andreani SECONDO SEZIONE PROSA


Soltanto un lupo





Nel sogno che feci la notte in cui venni deportato a Bergen-Belsen, qualcuno che aveva la mia voce di fanciullo mi bisbigliò all’orecchio:

“Con la spensieratezza del bimbo che è in te, metti le ali all’anima e librati in volo come un uccello senza peso.”

Faticai non poco per liberare quello che restava di me dalle ossa fratturate, cartilagini scollate, brandelli di epidermide e mucose ricoperte di piaghe, nasi, padiglioni delle orecchie, giunture scricchiolanti, unghie, legamenti e uteri sconosciuti che, nella fossa comune in cui era stata scaricata la mia carcassa, premevano gli uni contro gli altri fino a formare un’irriconoscibile poltiglia che stillava ininterrottamente liquido bluastro dai vasi sanguigni e dalle croste ematiche.

Ma in un’esaltazione della mente, un delirio onirico, per quanto agonizzante e chimerico, inverosimile e caotico, anche l’impensabile può trascendere l’orrore e disserrare allo sguardo il cielo che civilissimi animali sociali con gli occhi spiritati avevano sigillato con l’infamia.

Con quelle che credevo fossero le dita di una mia mano, riuscii ad aprirmi un minuscolo varco tra neonati con la stella di David, bambini con il volto cianotico, ragazzi ai quali erano stati strappati gli occhi, vecchi con gli sguardi ingessati, donne di ogni età prive del grembo materno, e, dopo essermi brevemente raccolto in preghiera, riuscii a spiccare il volo fin oltre le nuvole che dall’alto assistevano immobili, come paralizzate, alla tortura e allo sterminio di centinaia di migliaia di esseri umani nelle camere a gas e nei forni crematori.



Incantevole era dall’alto la vista di Bergen-Belsen! Tutto, visto da lassù, appariva meravigliosamente irreale, prodigiosamente folle. Il campo di concentramento era un castello di sabbia brulicante di buffi insetti in uniforme che si muovevano di continuo da un punto all’altro lanciando in aria i loro sgargianti berretti verdi; il filo spinato intorno al campo era un fiocco intrecciato con rose verde acqua che riflettevano i raggi sghembi del sole incandescente; le vette delle montagne, stagliate contro il cielo trasparente, sembravano punti esclamativi immersi nel biancore del latte materno; gli specchi d’acqua, velati d’azzurro, occhi ardenti di adolescenti innamorati; i campanili delle chiese, con il loro portamento flessuoso e sottile, steli di giunco che sfioravano, quasi toccandoli, orizzonti di fuoco; le case, screziate di giallo e con i tetti in ardesia, dimore per cuccioli di uomini che, nei pomeriggi di primavera, sgambettavano allegri per i prati sotto lo sguardo attento delle nonne camuffate da fate che, sedute le une accanto alle altre sui rami degli alberi in fiore, dalle tasche delle sottane partorivano per i nipotini caramelle e confetti.

Ammaliato da quella vista, saltellavo tutto festante sulle nuvole, bianche e leggere come le anime dei figli dei contadini che si rincorrevano nel verde della campagna; salutavo, agitando le braccia, gli uomini e le donne del castello di sabbia, che, con lo sguardo puntato verso il sole, immenso e caldo come un frutto estivo sulla tavola di Dio, seguivano in silenzio le mie belle piroette per non disturbare il battito del mio cuore.

Trattenendo a fatica il respiro come fa il bambino quando sale per la prima volta sul suo cavallo a dondolo, con l’anima inebriata dallo spettacolo che avevo davanti, mi spingevo sempre più in alto, tenendomi ben stretto, per non perdere l’orientamento, alla colonna di fumo grigia della ciminiera della fabbrica di saponette e di bottoni che si perdeva lontano, molto lontano, fino a toccare gli immensi spazi della volta celeste.

Il profumo di Dio e delle sue creature che mi giungeva dal basso mi riempiva i polmoni, cullava la mia carcassa, rendeva ebbro di felicità ogni mio respiro. Facevo fatica a immaginare un pezzo di paradiso più bello di quello che in quel momento il mio sguardo riusciva a malapena ad afferrare. “Possibile”, domandai al primo uccello che incontrai, una giovane cicogna nera con il triangolo blu[1] impresso sul becco, “che sulla terra, il primo scalino verso l’eternità, succedano per opera dell’uomo cose talmente bestiali e inumane da far impallidire persino un animale come il lupo, la bestia più feroce che, quando credevo ancora alle favole e alle fiabe, popolava tutte le notti i miei incubi?”

Mentre la cicogna mi mostrava il marchio che alcuni fanatici avevano impresso agli uccelli migratori, feci un altro sogno, un sogno terribile: un lupo, dopo aver lottato a lungo con un altro lupo, gemendo e torcendo le zampe al cielo, offriva la sua gola al lupo che l’aveva battuto, perché questi, com’era suo diritto, potesse azzannarlo a morte. Ma il vincitore, lo sguardo fiero, il pelo gonfio d’orgoglio, le zampe ripiegate su se stesse, invece di azzannare alla gola il perdente, lesto si girava dalla parte opposta e scompariva tra le fronde impenetrabili della foresta. Poco più in là, su un viottolo umido e polveroso, un uomo stremato che si torceva in una pozza di sangue, con un filo di voce implorava pietà a un altro uomo armato di coltello, il quale, indifferente a quella supplica, gli squarciava con violenza brutale il petto.

Quando il vento gelido del Baltico mi destò da questo spaventoso sogno, mi sorprese il desiderio irrefrenabile di mutarmi immediatamente in lupo e di vomitare l’uomo che era in me.

“Se l’uomo”, riflettei, scuotendo il capo, “fosse soltanto un lupo, se come il lupo fosse guidato dall’istinto e non dalla ragione, se nelle sue vene non scorresse il cromosoma del male, Bergen-Belsen, Buchenau, Dachau, Mauthausen e molte altre città dei morti, non sarebbero mai state costruite.”



Quando, alle prime luci del mattino, cercai di rientrare nel mio corpo, corpo n. 176934, non ci riuscii. Il n. 176934 non era che un mucchietto di polvere, un minuscolo mucchietto in una sterminata montagna di polvere.



[1] Nei campi di concentramento nazisti, il triangolo di colore blu identificava gli emigrati.

LOREDANA BERTEINA TERZA DI SEZIONE 2019


SANDRO CUPPINI VINCITORE PROSE 2019


                                                             L ’   A   L   T   R   A       S   C   A   R   P   A   



   Non aveva mai avuto scarpe, Lorenzo. Solo zoccoli di legno, che suo padre gli faceva su misura man mano che cresceva.
Vivevano in nove in una cascina di proprietà del conte Moroni, al centro di una proprietà oltre le Muraine, tra Porta Osio e Porta Broseta. Papà faceva il contadino, curava i campi e il frutteto con l’aiuto di un bracciante. Avevano anche la stalla con una decina di vacche.
   Erano sette figli in casa, quattro maschi e tre femmine, Lorenzo era il più grande. Il papà ogni mese preparava un sacco con uova e formaggi da portare al signor Conte, nel palazzo in Città Alta, e lo affidava a Lorenzo. Era stato ben contento di farsi sostituire in quella mansione dal figlio, appena aveva avuto l’età della ragione, perché le guardie del dazio a Porta Osio erano indulgenti con un bambino e lo lasciavano passare senza ispezionare il sacco. Per Lorenzo era un piacere, una piccola vacanza, se non fosse stato per il carico a volte troppo pesante per le spalle di un bimbo di dieci anni. Gli piaceva la salita in Città, con i palazzi nobiliari, le chiese e i sontuosi edifici pubblici, le botteghe e i commerci, e la gente indaffarata che si aggirava per le vie. Alla consegna della merce, su incarico del conte la servetta gli dava due lire di mancia e a compenso del dazio, che pure non aveva pagato. Non erano soldi che poteva tenere per sé, quando tornava a casa avrebbe dovuto subire l’interrogatorio del papà, sospettoso che si fosse trattenuto qualche centesimo o che l’avesse speso in un panino dal fornaio di Borgo San Leonardo. Tuttavia si sentiva orgoglioso di partecipare al bilancio familiare, ed era pur sempre una giornata speciale: c’era un po’ di tempo, al ritorno, di salire per Porta Dipinta e fare un salto in Piazza Vecchia. Era attirato dalla gente elegante che passeggiava o sedeva nell’antico Caffè del Tasso, con le sue paste alla crema che erano una tentazione del diavolo. Poi, scendendo e se il tempo era favorevole, gli piaceva passare dalla Fiera, uscire di Città al Portello delle Grazie e con un lungo giro tornare a Porta Osio.
   Lorenzo stava crescendo, sugli stinchi e giù sotto cominciava a crescergli una peluria bruna che minacciava la sua libertà. L’anno prossimo il papà gli avrebbe chiesto di aiutarlo nei lavori dei campi, e il compito di consegnare i formaggi e le uova sarebbe passato a Giuseppina, la secondogenita.

   Quel giorno Lorenzo vide da tanti segni che era arrivata la primavera. I fossi e gli stagni erano tutti festonati di uova di rospo e le prime farfalle, estenuate e sbiadite dall’inverno, intrecciavano incerti voli tra l’erba nuova. La lavandaie cantavano ai bordi delle rogge e stendevano i bucati a profumarsi ed ad asciugare sui prati, allegra risposta candida ai fiori colorati che li punteggiavano.
   Aveva passato senza problemi il dazio. Dopo aver consegnato le uova e i formaggi e aver fatto il solito giretto per Città alta, era sceso in Città bassa e, uscito dalle Muraine, era adesso alla stazione del tram a vapore per Monza. Lo chiamavano Gamba de lègn’ ed era molto popolare ed economico.
Una locomotiva sbuffante era ferma sul binario, pronta a partire. Trainava due carrozze, una di prima e una di seconda.
Lorenzo sapeva leggere un poco e a fatica decifrò i cartelli che erano appesi sotto la pensilina. Uno portava l’intestazione Prezzi e diceva: Prima classe 75 centesimi - Seconda classe 45 centesimi. ‘Perbacco’, pensò. ‘Con i soldi che ho in tasca potremmo andare io e Giuseppina fino a Monza, tornare indietro e ci starebbero anche due panini da un soldo a testa!’
C’erano poi una serie di cartelli che iniziavano con È VIETATO! Uno diceva che era vietato sputare: come avrebbe fatto papà che sputava ogni volta che impugnava la zappa? Un altro cartello ammoniva di non salire o scendere dal tram in moto. ‘In moto?’, allibì Lorenzo. ‘Che c’entrano le motociclette con i tram?’ Un altro cartello infine era piuttosto lungo: È vietato allungare i propri calzari sui sedili anche in prima classe e in presenza di signore. Anche questo era abbastanza equivoco. Lorenzo lo rilesse due volte e ci ragionò sopra così: ‘Se uno, come me ha solo gli zoccoli’, si chiese, ‘può allungare i piedi nudi sul sedile di fronte, sempre che non sia presente una signora?’
Mentre rifletteva su questo problematico dilemma, uno zoccolo gli si aprì in due sotto il piede, che quasi cadeva. Sedette per terra in un angolo ad esaminare il danno. Niente da fare: si era spaccato per il lungo e la fascia di cuoio pendeva da una delle metà. Sarebbe dovuto tornare a casa zoppicando con uno zoccolo solo. Il papà si sarebbe seccato: è vero che gli erano ormai stretti e aveva detto che gliene avrebbe fabbricato un altro paio la prossima domenica, ma i suoi erano destinati a Giuseppina. Così invece il papà avrebbe dovuto farne due paia, domenica.
Lorenzo alzò lo sguardo e rimase sorpreso. In un istante la stazione s’era riempita di gente. Si capisce che il tram stava per partire. C’era una piccola coda davanti allo sportello della biglietteria e molti altri viaggiatori si affollavano davanti alle porte dei vagoni per salire ed occupare i posti a sedere. Aveva sentito parlare di una Fiera importante che si apriva a Milano in quei giorni, e della quantità eccezionale di visitatori che vi si recava, anche da Bergamo.
   Udì un vocione tonante:
- Da questa parte, signora.
   Un facchino avanzava lungo il binario spingendo una carretta con sopra una grossa valigia e una cappelliera di cuoio verde. Dietro veniva un’elegante signora con in testa un cappello grande come la polenta di Natale  e un vestito azzurro che la fasciava fino ai piedi e le metteva in evidenza il sedere. Per mano aveva un bambino dell’età di Lorenzo, vestito come un principino: calzoni corti al ginocchio, giacchetta con martingala di panno blu con una specie di fazzoletto appoggiato mollemente sulle spalle e trattenuto da un nodo sul petto, calzettoni di lana blu, e soprattutto, un paio di magnifiche scarpe di cuoio grasso, nere, lucidissime, alte fino alla caviglia.
- Sbrigati Umberto, che perdiamo il tram!, disse la signora.
   Il principino si chiamava Umberto, come il re. Quando i tre gli passarono davanti sentì un scricchiolio ad ogni suo passo: le scarpe di cuoio parlavano! Come un cane al guinzaglio è felice di essere portato a passeggio dal padrone, così loro raccontavano il piacere di essere indossate, di camminare assieme al proprietario, di essere tutt’uno coi suoi piedi che avvolgevano perfettamente.
Non aveva mai visto un paio di scarpe così eleganti ai piedi di un bambino come lui. Chissà come dovevano essere comode, e calde, d’inverno. Forse con quelle avrebbe evitato i geloni. Però se fossero state sue, i giorni della settimana avrebbe continuato a mettere gli zoccoli e le avrebbe messe solo la domenica, per non rovinarle. Sarebbe entrato dalla porta principale mentre l’organo suonava, lo scricchiolio avrebbe superato la musica, e passando per la navata principale gli amici si sarebbero girati per vedere chi si avvicinava senza fare il co-cloc del passo zoccolato.
   Intanto i tre erano arrivati allo sportello della prima classe. C’era una calca indescrivibile.
- Si affrettino signori, che tra un minuto si parte!, diceva un ferroviere dal cappello rosso.
   Il facchino col suo vocione e spingendo il carretto si faceva largo tra i viaggiatori:
- Permesso! Largo!
   La signora seguiva, tenendo sempre per mano il bambino e con un fazzoletto al naso, perché l’odore della gente attorno le dava fastidio. Il facchino mostrò i biglietti al controllore, salì e sistemò i bagagli. Intanto il controllore si affannava a dire:
- Prima le donne e i bambini!
   E cercava di far avanzare la signora assieme a tre servette che probabilmente stavano andando a servizio presso qualche famiglia ricca di Milano o Monza.
La locomotiva sbuffava, si capiva che era impaziente di partire. Il fumo grasso di carbone usciva dal fumaiolo e ricadeva sulla pensilina. Il facchino tornò allo sportello, e, mentre la ressa era diventata furiosa nonostante gli sforzi del controllore, porse la mano alla signora. La mamma si alzò vezzosa un lembo del vestito, e salì un gradino affidando momentaneamente il bambino al facchino. Spinto dalla folla, pressato da ogni parte e tirato su dalla manona del facchino, il principino non salì ma fu trascinato sul tram. Un piede gli si incastrò tra un gradino e l’altro, una scarpa gli scivolò via dal piede e cadde sul marciapiede. Nessuno nella calca ci fece caso, il bimbo gridò Mamma… ma il suo grido fu coperto dal campanaccio suonato del ferroviere dal cappello rosso. Il tram partì mentre un ultimo signore si aggrappava al corrimano e saliva al volo. Il ferroviere chiuse con un colpo secco lo sportello.
   Lorenzo aveva visto cadere la scarpa e a piedi nudi corse al binario. La afferrò e si mise a inseguire il tram che, stava man mano accelerando. Vedeva Umberto affacciato al finestrino col braccio teso. Lo stava guardando con gli occhi spalancati, muoveva le labbra. Lorenzo non capì cosa stava dicendo, ma intuì che lo stava incitando a fare presto. Dietro s’intravedeva la mamma che lo tratteneva mentre si sporgeva sempre più.
Lorenzo pareva guadagnasse terreno, il finestrino si avvicinava, ma dopo uno scambio il tram accelerò e contemporaneamente la pensilina finì. Impossibile tenere dietro a piedi nudi sulla strada bianca di Porta Osio. Lorenzo si fermò ansante e alzò il braccio che teneva la scarpa. Vide la delusione sul viso di Umberto, ma subito il suo viso sparì dalla vista, per riapparire un attimo dopo al finestrino. Aveva in mano l’altra scarpa. La gettò sulla strada con un gesto ampio del braccio, che poi alzò in segno di saluto.
Anche Lorenzo alzò e agitò la mano. Fece appena in tempo a scorgere il sorriso del principino prima che uno sbuffo di fumo nero carico di scintille lo nascondesse ai suoi occhi.


















































































Finita la lettera, affamato ed esausto, Jakob fece cena con un paio di mosche che conservava in frigorifero.

Poco più tardi, quando anche la famiglia del signor Keller ebbe mangiato i cibi custoditi in frigo (ma non si trattava di mosche), il piccolo Hans, figlio del signor Nicolas, si avvicinò al padre, che era di nuovo seduto nel soggiorno.

Ed il signor Keller che, come voi e me, non si ricordava a memoria il seno di 72°, aveva casualmente riaperto il giornale a pagina 8.











Il figlioletto, alla vista dello strano disegno che illustrava il sondaggio elettorale, esclamò:

“Che bello!!”

Al che il padre, distrattamente, rispose:

“E' un diagramma di Kiviat, dal nome di uno dei suoi inventori. E' noto anche come diagramma radar, grafico a stella o grafico polare”

“Ma papà, non è un radar! E' una ragnatela”

“Beh, sì.... hai ragione; a volte lo chiamano anche diagramma ragno o grafico ragnatela”.


































































































Michele Siciliano terzo di sezione


lunedì 25 marzo 2019

Foto vincitrice Zaira Bruna


Opera vincitrice Irene Peano



Opere vincitrici Sandra Ceccarelli



Poesia vincitrice Pietro Baccino


 Anch’io sento la fame



I miei sogni son rosa come i vostri

e come il vostro è rosso anche il sangue

che scorre e pulsa nelle mie arterie.

Identico è il respiro,

eguale il desiderio di vivere e di amare,

di accarezzare i figli e di stupirmi

ad ogni nuova aurora

per il sole che sorge,

per il vento che sfiora i capelli.

Anch’io sento la fame

come voi la sentite

e la sete anche a me secca le labbra.

Non nego la fatica del lavoro,

ma provo gioia per l’opera mia,

e mi piace cantare quella terra

che mi ha dato la vita,

anche se misera,

e che ora lascio per cercare altrove

il senso dei miei giorni. Son diverse

le mie parole strane dalle vostre,

straniere, incomprensibili, ma pure

chiamano bello il bello, buono il buono

e fratello il fratello. E’ una disdetta,

per me che sono così eguale a voi,

che la mia pelle nera non si stinga:

se la mia mano fosse bianca, allora

come sarebbe facile serrarla!
















Fotografie vincitrice e segnalata di Rinuccia Marabotto


Commento premiazione - Ancora apertura il 31 - Festa di chiusura alle 18


Buon livello espositivo, ottima partecipazione, premi «al femminile», locali e non, apertura prossima domenica pomeriggio, 31, con festa finale alle 18

Premiazione Concorso Parole ed immagini



Ottima è stata la partecipazione alla premiazione della ventottesima edizione del «Concorso Parole ed Immagini» di Mellana di Boves, nel Salone della frazione, la sera di sabato 23, come numerose sono state le visite, attente ed interessate, alla esposizione allestita (centocinquanta foto selezionate e scritti), nel fine settimana, nei locali del Circolo, ex scuole elementari mellanesi, tanto che si è decisa apertura straordinaria ancora nel pomeriggio della prossima domenica 31, dalle 16 alle 18, con momento di «festa finale», di chiusura, alle 18.

Soddisfatti sono gli organizzatori per una partecipazione che resta nazionale e «di livello», con sezioni fotografiche in cui i cuneesi si son difesi bene, e molto «al femminile» (nota è la sensibilità della «altra metà del cielo»). Hanno deciso giurie qualificate formate da insegnanti (Valentina Biarese, Sergio Carletto, per le lingue naturali, Giorgio Casiraghi, anche impareggiabile lettore, Alessandro Giordanetto, Giampaolo Angius, per il «Parole ed Immagini) e fotografi (Grazia Bertano, Fabio Conte, Massimo Macagno).

Tra gli altri erano presenti alla cerimonia i pisani Michela Bernini e Paolo Ferretti, la fiorentina Sandra Ceccarelli, il pesarese Gabriele Andreani (secondo tra le prose, con intenso brano sull’Olocausto). Vero trionfatore, assente per motivi di salute, è stato il savonese Pietro Baccino (vincitore, grande cesellatore di dolci malinconie, nelle poesie sia italiane, « Anch’io sento la fame», che in «lingua naturale», il suo «ligure d’entroterra», «Dai proi u usciò dra tera», «Dai prati il fiato della terra», e nelle prose in lingua naturale, «Serè u cèrch»). A lui è stato anche assegnato un secondo premio (per «Ra cascina», «La cascina»). Si sono confermati «nomi noti» della manifestazione: dal perugino Giuseppe Mandia (secondo tra le poesie italiane, con «Morire in un giorno di festa»), al bergamasco Sandro Cuppini (vincitore tra le prose con «L’altra scarpa»), il milanese Stefano Borghi (terzo nella stessa sezione, con « Il colore del vento»), a continuare la grande tradizione, con opere in prosa spesso degne di ogni pubblicazione. Accanto a loro erano il carmagnolese Attilio Rossi (premiato sia in italiano che in piemontese, «Una matita fra le mani», sul primo voto di staffetta partigiana, e «La luna della peschiera») ed il cuneese Vittore Giraudo (ancora trionfatore nella sezione «satira», con «Tell me WI-FI»), protagonisti di letture, di grande presenza scenica e comunicativa, alla premiazione. Son emersi la cuneese Daniela Biancotto (autrice di recenti pubblicazioni, seconda tra le poesie italiane, con la romantica « Sei il mio sogno») e Luigi Lorenzo Vaira di Sommariva del Bosco (segnalato sia tra le prose che tra le poesie in piemontese, con «Le-s cianch», «Lo strappo», e «El barba dl’America», «Lo zio d’America»).

Alcune delle opere premiate potranno essere pubblicate dalla rivista «Primalpe».

Rammarico è arrivato solo per una sezione «prose e poesie giovani» non di consistenza tale da poter assegnare premi, segno dei tempi e degli interessi delle nuove generazioni. Gli organizzatori hanno tranquillizzato: «Durante la festa di luglio, insieme ad altre esposizioni, riproporremo la sezione, non competitiva, “Invito alla scrittura”, per studenti delle scuole dell’obbligo, che l’anno scorso ha coinvolto oltre trecento ragazzi... Seminiamo sperando di raccogliere in futuro...»,

Vincitrici delle sezioni fotografiche sono state Irene Peano, di Cuneo, nella sezione «Il mio cane, il mio animale preferito» (con quadrupede che «sogna», in bianco e nero, davanti a vetrina di macellaio, ha preceduto il bel «ritratto» di altra cuneese, Zaira Bruna, e la fossanese Daniela Patriti, colorato scatto al delizioso e delicato sapore anni Settanta), Sandra Ceccarelli, di Firenze, nella sezione «Una foto, un’emozione» (raffinata composizione, davanti a Paolo Bussone, cuneese di Cervasca, secondo con immagine evocativa di campo di stermino e terzo con un papavero accarezzato dal vento), Rinuccia Marabotto di Chiusa Pesio (Cuneo), nella sezione «Il colore verde» (la sua donna che cammina verdevestita in mezzo ala neve, anche segnalata per la pittorica «Non solo grano», seguita da Daniela Patriti e Sandra Ceccarelli, immagini che sanno abbinare semplicità e raffinatezza, «occhio»), Francesca Barbero di Boves, nella sezione «Sogni ed altre brutte faccende» (quattro «autoscatti» per immaginare una sua serena metamorfosi in un gatto).

Unico trionfo maschile è stato nella sezione «Armonia: corpo, movimento e energia», con Giovanni Cappello di Carmagnola (Torino), alla prima partecipazione, ed una vivace immagine di gioia fanciullesca. Al suo fianco Michele Siciliano ha dato saggio del monumentale lavoro di documentazione, oltre che artistico ed estetico, con le Associazioni sportive bovesane, Paolo Ferretti di Fornacette di Pisa ha risposto con l’elegante gioco di «Mani», Loredana Berteina di Fossano (Cuneo) con «Leggerezza» (figura umana sospesa su un abisso)...

Migliori immagini dell’edizione (i vincitori sono stati premiati anche con possibili stampe delle oro opere, omaggio, dallo sponsor «Imprimere StampaFineArt» di Fontanelle di Boves) sono state giudicate le opere di Sandra Ceccarelli («I tocco meno venti») e di Rinuccia Marabotto di Chiusa Pesio («Figura verde nel bosco»).

Nella sezione «Abbinamento Parole ed Immagini» ha vinto Pietro Rainero, di Acqui Terme (Alessandria), per bella prosa (è reduce da successi nelle sezioni degli «scritti»), con curato accompagnamento di efficaci disegni. Al secondo posto è stata indicata la poetessa peveragnese Anna Grosso, che ha presentato sua lirica in piemontese insieme a storica immagine (di «Trebbiatura»), mentre lo storico partecipante, Adalberto Torelli di Cuneo, ha scelto fotografia dalle spiagge adriatiche, di scritta sulla sabbia, promessa, straniera, di amore eterno, destinata a venir cancellata dalla alta marea...

Spiegano gli organizzatori: «Dobbiamo solo ringraziare tutti, dai collaboratori, che si son fatti lavoro immane, a case editrici, Primalpe ed Arabe Fenice, Cassa Rurale di Boves, Fondazione Cassa Risparmio di Cuneo,  librerie (Stella Maris, Centro Libri, Senza Polvere, Ippogrifo) e vari cittadini privati che ci hanno offerto o venduti scontati libri, ai giurati, il cui compito mai è facile, ai partecipanti, che ci hanno permesso esposizione di questa qualità, al parroco, che ci ha messo gratuitamente a disposizione l’oratorio e portato saluto, al Circolo (presente il giovane presidente Ettore Brignone) che ci ha dato le “chiavi” della sua sede per tre settimane, ai visitatori, come al solito, per momenti culturali a Boves, soprattutto arrivati da fuori Comune, che sempre danno un senso ai nostri sforzi... La nostra soddisfazione non poteva essere maggiore e ci ripaga di ogni fatica... Proprio per questo abbiamo deciso l’ultimo pomeriggio, domenica prossima 31, e la festa finale, alle 18. Per ringraziare... ».

C.S.



Foto Beppe Andreis

domenica 24 marzo 2019

Verdetto Parole ed Immagini 2019


Verdetto

“Parole ed Immagini 2018/9” – XXVIII Edizione

Scritti

La giuria della XXVIII edizione del “Concorso Parole ed Immagini”, per quanto riguarda gli “scritti”, formata da Giampaolo Angius (consulente “abbinamento Parole ed Immagini”), Valentina Biarese, Giorgio Casiraghi, Sergio Carletto (consulente per la sezione “dialetti e lingue naturali”) ed Alessandro Giordanetto, si è riunita, mercoledì 13 marzo, alle 21, nella sede del Circolo, esprimendo il seguente verdetto.



Poesia a tema libero in italiano



1° “Anch’io sento la fame” di Pietro Baccino, Savona

-L’autore scorre il quotidiano e s’immedesima in uno dei tanti che qui da noi ambiscono a una vita migliore, incontrando l’ostacolo della lingua e del colore della pelle. I versi si alternano, malinconici, tra slanci d’amore per la terra lontana, misera e priva di sbocchi, considerazioni sul proprio essere, sulla famiglia, desiderio di impegno sul lavoro e, cito “…se la mano fosse bianca sarebbe più facile serrarla”.



2° “Morire in un giorno di festa” di Giuseppe Mandia, Perugia

-Il dramma delle morti sul lavoro emerge con forza nell’opera che sottolinea tutti i dovuti aspetti della prevenzione, severi ma inutili nella lotta con l’imprevedibile. Amara la riflessione sulla solidarietà che si spegne sul futuro di chi resta.



3° “Sei il mio sogno” di Daniela Biancotto, Cuneo

- L’impetuoso messaggio d’amore coinvolge chi sa cogliere l’aspetto poetico del rapporto. Dolcezza, palpiti, abbandono ed estasi si fondono e rispecchiano l’emozione dell’innamoramento.



Segnalato “Una matita fra le mani” di Attilio Rossi, Carmagnola (Torino)

- Piacevoli rime alternate rivivono il percorso resistenziale e di emancipazione di una staffetta partigiana che, felice, affronta l’emozione del primo voto.







Prosa a tema libero in italiano



1° “L’altra scarpa” di Sandro Cuppini, Bergamo

- Deliziosa favola moderna in salsa milanese col sapore de “L’albero degli zoccoli”. Come al solito i bambini sono disarmanti.

2° “Soltanto un lupo” di Gabriele Andreani, Pesaro

- Discreta variazione sul tema della Shoah. Un sogno muta il punto di vista e sembra indicare una chiave di fronte al male indicibile, ma la conclusione è sempre quella: cenere.

  “Il colore del vento” di Stefano Borghi, Milano

- Il dramma della solitudine e del suicidio in un racconto lirico e introspettivo. Discretamente riuscito.







Satira



1° “Tell me WI-FI” di Vittore Giraudo, Cuneo

- Ieri oggi e domani si rincorrono in uno spassoso quadretto, dove linguaggi e motivi umani s’intrecciano con simboli in uso agli ipertecnologici.









Dialetti e lingue naturali - poesie



1° “Dai proi u usciò dra tera” (“Dai prati il fiato della terra”) di Pietro Baccino, Savona

- Autentica poesia con struggenti toni nostalgici. La natura sovrasta i resti di un’umanità dolente e perduta per la quale la speranza appare utopica. Ricerca lessicale di qualità eccelsa.





2° “Ra cascina” (“La cascina”) di Pietro Baccino, Savona

-La natura sovrasta l’esistenza grama del mondo contadino. Il testo rivela grande capacità di evocare con precisione animali, piante, erbe, alberi di un mondo perduto del quale non restano che mute vestigia.



3° “La lun-a dla peschera” (“La luna della peschiera”) di Attilio Rossi, Carmagnola (Torino)

-Negli “abissi” della peschiera danzano con gioia pesci di tutte le specie e si avverte la vita che pulsa nel profondo. Quando si spegne la luce del sole, la luna illumina un mondo gioioso e fatato. Buona ricerca linguistica e lessicale.



Segnalato “Le-s cianch” (“Lo strappo”) di Luigi Lorenzo Vaira, Sommariva del Bosco (Cuneo)

-  É un crescendo di emozioni e sensazioni a partire da una situazione inizialmente anonima. una celebrazione dell’amore sponsale e paterno.  Il testo è fortemente evocativo, più che discreta la ricerca linguistica e lessicale.







Dialetti e lingue naturali - prose (“Le conte”)

1° “Serè u cèrch” (“Chiudere il cerchio”) di Pietro Baccino, Savona

- La grande storia e la biografia famigliare conducono l’autore alla finale riscoperta delle sue radici, di una lingua materna che è la casa del nostro essere. Straordinaria è la capacità di servirsi di una lingua di pochi con perizia ed accuratezza notevolissime.



Segnalata “El barba dl’America” (“Lo zio d’America”) di Luigi Lorenzo Vaira, Sommariva del Bosco (Cuneo)

- L’autore racconta la storia dell’emigrazione transoceanica senza tacere le asprezze e le difficoltà di chi la visse un secolo fa. Ma l’emigrazione e l’immigrazione non sono cessate e le sfide della globalizzazione non cessano di mostrarcelo ogni giorno. Buono è il livello linguistico e discreta la capacità evocativa di persone ed atmosfere.













Sezione “Parole ed Immagini





1° “La ragnatela” di Pietro Rainero, Acqui Terme (Alessandria)

-Bella la prosa, affiancata, sottolineata, rafforzata, da validi ed esplicativi disegni. Testo brillante ed ironico, con il mai trascurabile pregio di non aver finale scontato...

2° “Trebbiatura” di Anna Grosso, Peveragno (Cuneo)

- L’opera prende per mano e porta indietro nel tempo, al passato di una civiltà contadina locale viva sin a pochi decenni fa, sottolineando gli aspetti sereni, piacevoli, facendo vedere, anche attraverso l’unica foto di accompagnamento, in bianco e nero, i colori di quella vita agreste, riuscendo quasi a far percepire rumori ed odori, in quello che era vero rito, momento topico, sociale, solidale, nel calendario annuale, la trebbiatura...

3° “Sognare d’amore” di Adalberto Torelli, Cuneo

- Un breve ed intenso testo a verso libero, dolci malinconie accarezzate dal sole di tarda estate su spiaggia adriatica, si suppone, è completato e sottolineato, in perfetta fusione, con la fotografia, di scritta sulla sabbia, di promessa di amore eterno, si immagina fatta da giovani stranieri.



Fotografie



La giuria della XXVIII edizione del “Concorso Parole ed Immagini”, per quanto riguarda le “fotografie”, formata da Grazia Bertano, Fabio Conte e Massimo Macagno, si è riunita la sera di mercoledì 13 marzo, alle 21, nella sede del Circolo organizzatore, ed ha espresso il seguente verdetto.





1 -  “Il mio cane, il mio animale preferito”



Irene Peano, Cuneo

-Per “Lettera d’amore 2”, per scelta del momento, street photography (dog photography), viraggio in ottimo bianco e nero, simpatica ed espressiva immagine, viva, con l’animale in atteggiamento da giudicarlo immerso in pensieri quasi umani, in sogni e riflessioni.

2° Zaira Bruna, Cuneo

- Per “Benny”, ritratto di animale eseguito secondo i dettami di quello alle persone, molto espressivo, attento, assorto e riflessivo.

3° Daniela Patriti, Fossano (Cuneo)

-Per “Amici per la pelle”, immagine deliziosamente retrò, dal sapore anni Settanta, in ottima cornice, poetica, tra riflessi, luci e colori pastello.





2 - “Una foto, un’emozione”



1° Sandra Ceccarelli, Firenze

-Per “I tocco meno venti”, per l’ottima composizione, vero “set”, curato, con delizioso orologio mosso, sensazioni tattili, tridimensionali, attento ed equilibrato ritocco, foto viva, risplendente di luce propria (giudicata una delle immagini migliori dell’edizione).

Paolo Bussone, Cervasca (Cuneo)

- Per “Sono il re del mondo”, immagine piacevole, “alla Fontana”, delicata, leggera e gradevole (due colori in sintonia e due contrapposti). Sembra di sentire il vento che accarezza sublimemente il papavero...

Paolo Bussone, Cervasca (Cuneo)

-Per “Auschwitz”, emozione forte per l’atmosfera (evocata da un dettaglio che potrebbe essere anonimo in primo piano), il luogo, la storia, buona la gestione dello sfondo sfocato (che fa capire dove ci si trova e ne evoca l’angoscia, il dramma vissuto). Bella è la composizione, con la scelta di toni blu, freddi, volutamente, in luogo di un giallo che sarebbe stato più caldo, ma non di altrettanta efficacia comunicativa, probabilmente.





3 - “Il colore verde”



Rinuccia Marabotto di Chiusa Pesio (Cuneo)

-Per “Figura verde nel bosco”, fotografia originale nel centrare il tema, con un momento particolare dell’anno, e della stagione invernale (quella più lontana dal colore verde), durante nevicata, con nebbie e luci, che trasmette pace. Il piccolo particolare della giacca verde della figura che cammina tra la neve diventa protagonista, centrale, unica macchia di colore, quasi attesa speranzosa della primavera, della rinascita, del futuro. Giudicata una delle migliori immagini dell’edizione.

2° Daniela Patriti di Fossano (Cuneo)

-Per “Verde speranza”, fotografia di grande semplicità, efficacissima, quasi dipinto con grande gioco di linee e luci nel verde. È uno di quei particolari che per cogliere servono occhio e sensibilità, delicatezza.

3° Sandra Ceccarelli di Firenze

-Per “Foglia di gelso”, immagine dalla ottima gestione della luce, stacco della profondità di campo. Con un soggetto molto semplice, ne è ennesima dimostrazione, si può creare una grande fotografia.

Segnalata Rinuccia Marabotto di Chiusa Pesio (Cuneo)

-Per “Non solo grano”che colpisce per la “semplicità del caos”, apre la mente alla immaginazione, par pastello od acquerello, senza curarsi soverchiamente di regole fotografiche, quasi ipnotica.





4- “Sogni... e altre brutte faccende”



Francesca Barbero di Boves (Cuneo)

-Per la serie di quattro foto “Autoritratto: la mia metamorfosi in un grosso gatto”, un “sogno completo”. Pensando alla “metamorfosi”, oltre che a testi classici, ad Ovidio, vien da pensare al novecentesco Franz Kafka. Qui, in una sezione davvero difficile, abbiamo una versione fotografica, positiva, solare, felice, dello scritto dell’autore praghese. Come il kafkiano Gregor Samsa vive un incubo (pensando ai sogni in tempi recenti si finisce spesso in questi),  si sveglia trasformato in quello che socialmente si sente essere, un grande scarafaggio, l’autrice immagina di svegliarsi trasformata in quello che davvero vorrebbe essere, in quello che sogna di diventare “da grande”, un grosso gatto, che tranquillamente vive la vita umana con tipica serenità sorniona felina, senza alcun trauma, con somma soddisfazione. Il lavoro è realizzato con creatività, qualità, intelligenza, ironia, cura, maestria nell’arte difficile dell’autoritratto, attenzione ad ogni dettaglio e particolare, atmosfera da fiaba, colori delicati, ovattati, caldi.



















5 - “Armonia: corpo, movimento e energia”



Giovanni Cappello di Carmagnola (Torino)

-La sua fotografia colpisce per la semplicità, immagine vivace che “rende perfettamente l’idea” di “corpo, movimento e energia”, in un aspetto giovane, allegro, felice, vivace, corale, solare, con anche sullo sfondo murales colorato di ispirazione novecentesca contemporanea (Keith Haring).

2° Michele Siciliano di Boves

-Per opera su corridore “Boves Run”, che emana tantissima energia, atleta che taglia il traguardo, impegnato nell’ultimo sforzo, tra fatica e gioia, soddisfazione.

3° Paolo Ferretti di Fornacette di Pisa

-Per «Mani», suggestiva immagine in bianco e nero, molto ricercata, che lascia spazio alla fantasia, sensuale, elegante, onirica. Le mani paiono guidare l’occhio oltre la foto, oltre il bordo dell’immagine, verso “il fuori”, verso un “futuro”...

3° ex aequo Loredana Berteina di Fossano (Cuneo)

-Per “Leggerezza”, immagine che colpisce per la precisione, la scelta dell’attimo delle scatto, l’accurato studio della posizione del fotografo. Una visione di precarietà, sospesa, a meno di un passo dal nulla, diventa simbolo di equilibro, del restare, senza paure, sull’abisso.





Mellana di Boves, 23 marzo 2019

giovedì 14 marzo 2019

Invito alla Scrittura 2019 - NON COMPETITIVA


Concorso "Parole ed Immagini" /2019/  Mellana di Boves

Riservato ai bambini delle scuole elementari e medie inferiori

Invito alla scrittura

Poesie o scritti in prosa a tema libero corredati da disegno,





Le opere verranno esposte nelle serate dal 19 al 22 luglio (domenica 21 anche di pomeriggio) nei locali delle ex-scuole elementari di Mellana di Boves. Dovranno essere consegnate ai membri del Circolo Mellana o alla Biblioteca Civica di Boves, entro lunedì 8 luglio. Non sarà richiesta una particolare forma "poetica", un "metro" (i "versi liberi" verranno accettati senza problemi).

Ogni autore potrà presentare al massimo un'opera poetica ed una in prosa (ognuna con relativo disegno).

Saranno ammessi "lavori di gruppo".  

Si escluderanno opere che abbiano già preso parte ad altre edizioni del Concorso.

Simpatici premi, per tutti, verranno portati alla scuola o al domicilio o in altro luogo concordato.

Per informazioni ulteriori telefonare ai numeri 0171.386951 o 340.3761714 (preferibilmente in orario serale), e-mail adriano.toselli@libero.it.

L’Organizzazione

domenica 10 marzo 2019

«Parole ed immagini»: esposizione e premiazione


Arriva all’atto finale, tra il 23 ed il 24 marzo, la ventottesima edizione (2018-19) della manifestazione culturale

Il «Concorso Parole ed Immagini», poetico, fotografico, letterario, artistico, di Mellana di Boves ha fissato la premiazione della sua ventottesima edizione (2018-19), nei giorni della nazionale «Festa della poesia», in primavera (quando si teneva l’abituale momento di «lettura»), sempre nella frazione, sabato e domenica 23 e 24 marzo, con esposizione, premiazione, momento gastronomico di cucina locale, promozione di itinerario di bellezze del territorio…

Sabato sera 23, alle 20, vi sarà inaugurazione della esposizione, nei locali del Circolo, ex scuole elementari, alle 21 seguirà la premiazione, con lettura di testi, nel Salone della frazione.


L’esposizione sarà visitabile (ingresso libero) sabato 23 e domenica 24 mattina dalle 10 alle 12, sabato pomeriggio dalle 16 alle fine della premiazione, domenica 24 dalle 16 alle 19. Per i visitatori non della zona sarà possibile avere informazioni su altre visite a carattere storico, artistico o/e naturalistico in zona, nel Bovesano e non solo (come indirizzi di possibili alloggi notturni e ristoranti).

Dopo la premiazione, alle 23 circa (ma «anche un po’ prima», si prevede), sarà possibile aderire a momento conviviale, buffet tipico locale, alla «Osteria di Mellana» (nuova gestione giovane), a 10 euro, su prenotazione entro giovedì 21 (telefono 340.3761714, anche solo per informazioni sulla intera manifestazione, mail adriano.toselli@libero.it).


Soddisfazione e realismo ci arriva, come abitudine della manifestazione, dagli organizzatori. «Il concorso era nato, ormai trenta anni fa, in un contesto molto diverso, con ben altre sensibilità e metodi comunicativi. Abbiamo cercato sempre di aggiornarci ed adeguarti, evitando di adulterare la formula iniziale. Questa edizione, dopo anno “sabbatico”, di riflessione, nasce dalla consapevolezza che non funziona più, anzi, che forse mai ha funzionato, l’idea di una festa locale con una iniziativa del genere, molto cresciuta negli anni. In questi tempi la predilezione, soprattutto dei giovani, è tutta per momenti ricreativi e conviviali, o così almeno par evidente, bisogna ammetterlo. Le cose sono andate esattamente al contrario di quel che prevedevamo, o solo speravamo, a fine anni Ottanta. Non stiamo più crescendo, ma sopravvivere, e la qualità di quanto arriva ci conferma che siamo ancora vivi, è già non poco. Del resto mai troppa attenzione ci è stata data neppure nei momenti migliori. Rinunciare, comunque, a questa “finestra” sul mondo ci sembrerebbe un impoverimento per noi, per Mellana, per Boves, anche se nulla toglierebbe a serate gastronomiche e musicali sempre più curate ed apprezzate. Per non disturbare, abbiamo scelto questa nuova collocazione, al di fuori di un programma delle manifestazioni di luglio ogni anno più ricco ed innovativo, in linea con quello delle altre iniziative del genere. Il pubblico sarà minore, ma, speriamo, di persone interessate. Le giurie ci confermano la nostra impressione iniziale: il livello sia letterario, che artistico-fotografico resta buono. Dovrebbe essere un bel momento di festa, con tutti i partecipanti che vorranno intervenire. Per dirla con i versi di una canzone di Roberto Vecchioni: vogliamo continuare ad essere il “Vespro e non la Messa” (“A Messa si va pure senza fede, il Vespro è veramente per chi crede”). Tutte le sezioni fotografiche,  “Il mio cane, il mio animale preferito”, “Una foto, un’emozione”, “Il colore verde”, “Sogni…e altre brutte faccende”, “Armonia: corpo, movimento e energia”, hanno avuto partecipazione, di livello, non solo locale. Non erano, volutamente, “facili”, richiedevano impegno, intelligenza. Persino quella dei “Sogni”, che aveva le maggiori “chances” di andar deserta, ha visto arrivare fotografie, e non elaborazioni al computer, anche se, per ben spiegare che viviamo nella “età della paura”, quelli presentati son quasi tutti “incubi”... Segno inquietante, per il futuro, è un ricambio, sempre vivace sin a qualche anno fa, che si è ridotto e di una sezione “poesia giovane” (autori sin ai venti anni), un tempo ricca, ora andata praticamente deserta. Proveremo a rimediare riproponendo, a luglio, la sezione “non competitiva”, di “Invito alla scrittura”. Non abbiamo cercato sponsorizzazioni, puntando sul lavoro e l’impegno volontario. Ci è arrivato il patrocinio di “Imprimere StampaFineArt” di Boves, che offrirà stampe omaggio (ovvero possibilità di stampare le proprie opere in grande formato e con curatissima qualità) ai vincitori delle sezioni fotografiche.

Opere vincitrici potranno essere pubblicate sulla rivista «Primalpe»

Neppure rinunceremo, a luglio, tra centrali cerimonie religiose, gastronomia e musica, ad esposizioni, come quella delle ragazze dell’Oratorio, a soggetto “tessile”, “Tutti i fili mellanesi”. Adriano Pellegrino, il bovesano “Griota”, ormai ospite abituale, ci porterà le sue nuove incisioni su alluminio. Abbiamo invitato, già l’autunno scorso, al momento della partenza del “Concorso”, la pittrice di tecniche miste Marina Falco. Nel prato cercheremo di realizzare una esposizione di scultura contemporanea (anche omaggio a Roberto Peano, noto appassionato scomparso, che era originario della frazione). Cureremo ricordo di Fulvio Giusta, che tanto ha dato, a Mellana e non solo...».