venerdì 5 luglio 2024

La nun di Sandro Cuppini

 


 J. Carucci detto il Pontormo - Autoritratto (1515 circa). Firenze, Gabinetto delle stampe degli Uffizi

 

 

 

L   A       N   U   N

 

 

 

   Era probabilmente il più grande esperto vivente di pittura rinascimentale, ma la sua vera passione era fare il banditore d’asta, e aveva i suoi buoni motivi.

  Josè Somégga, laureato alla Sorbona in Storia dell’Arte, aveva cominciato una carriera accademica, pubblicando numerosi studi su alcuni pittori minori di scuola francese. Ma presto si era reso conto che non avrebbe mai potuto emergere nell’ambiente chiuso, politicizzato e indifferente al merito dell’Università. Si sentiva attratto dal mondo delle vendite all’incanto, nel quale aveva avuto modo di entrare fornendo alle più importanti Case le sue expertise. Grazie a queste, alcune tele che erano state classificate come Ignoto del xv secolo o Cerchia del maestro XY erano state attribuite a nomi importanti e il loro valore di mercato era aumentato di cinquanta o cento volte, per la gioia dei proprietari. In questo modo era rapidamente e meritatamente diventato un’autorità anche nel campo delle aste, e sui trent’anni si era dedicato al mestiere del banditore.

   Non basta essere esperti d’arte per fare il banditore. Si tratta di un’attività che richiede una serie di qualità disparate, tra cui la competenza nel campo artistico non è l’unica. Deve intendersi almeno un poco di beni eterogenei (antichità, articoli da collezione, fino a vini pregiati, veicoli e reperti preistorici), ma soprattutto deve possedere carisma e talento per stimolare le offerte, conoscere il marketing e la psicologia del collezionista.

   Josè aveva cominciato la carriera lavorando per beneficenza. L’esperienza maturata gli era stata preziosa per acquisire la velocità nel comprendere l’umore del pubblico, nell’intuire se in esso c’erano almeno due persone interessate all’oggetto in vendita per metterle in gara, nel capire quando valeva la pena aspettare un secondo in più in attesa che un concorrente si decidesse a rilanciare, senza per questo irritare l’ultimo offerente. Si era quindi reso conto durante questo apprendistato che nel mestiere c’era molto più del semplice parlare velocemente. Anche se la rapidità di riflessi era una qualità importante. In seguito non si era sentito sminuito quando una Casa d’aste gli aveva chiesto di sostituire per qualche mese un osservatore malato, un ruolo essenziale nel corso dell’asta. Il rilancio è spesso effettuato dall’offerente con piccoli cenni delle mani, a volte con impercettibili movimenti del capo; soprattutto se l’asta è affollata, il banditore ha necessità perciò di avere un assistente, detto appunto osservatore, che indichi quelli che nella ressa potrebbero sfuggirgli.

   Presto venne il momento del suo debutto, e in breve tempo divenne un celebre e richiesto banditore, ricercato da tutte la Case d’asta d’Europa per la classe con cui presentava gli oggetti e per il suo duplice ruolo di grande esperto d’arte e abile venditore. Aveva un vero talento nel chiamare le offerte, una qualità altrettanto importante del saper descrivere correttamente ma con poche parole attraenti gli oggetti in vendita.

   Non esistono banditori onniscienti e quindi, pur potendo battere con buon successo molti altri campi, Josè per scelta si dedicò a quello che era il suo preferito, ossia l’arte pittorica e la grafica. La sua competenza sosteneva e avvalorava i lotti che presentava, e al pubblico pareva che la sua passione per l’arte mettesse in secondo piano l’interesse venale, che pure è il movente precipuo di una vendita all’asta. Partecipava con sincero trasporto alla felicità del cliente che era riuscito ad appropriarsi di un pezzo raro. Il collezionista si fidava di lui.

Divennero celebri le frasi con le quali accompagnava la presentazione di pezzi di particolare pregio:

- Signori, un oggetto per il quale val la pena di competere. Oppure:

- Un pezzo dal quale, una volta acquistato, vi sarà difficile separarvi.

   Alle sue aste il pubblico non bisbigliava né commentava i prezzi d’aggiudicazione, comportandosi con l’educazione richiesta ad un concerto sinfonico o ad una rappresentazione teatrale. Al contrario dei colleghi che operavano in TV, anziché giacche o camicie sgargianti, Josè indossava rassicuranti grisaglie, sobrie cravatte su camicie azzurre o bianchissime. Chi partecipava non era mai caratterizzato, come faceva qualche suo collega maleducato, con frasi del tipo la signora col cappello giallo o il signore coi baffi in ultima fila; né veniva indicato col dito, bensì con la mano a palmo aperto. Insomma, vederlo all’opera era uno spettacolo di vera classe.

   Naturalmente Josè integrava i compensi da banditore, che spesso erano in natura essendo rappresentati da dipinti che si faceva cedere a prezzo di favore, con l’attività di consulenza. Le aste erano state il mezzo per estendere la sua fama oltre l’ambito ristretto del campo accademico. Le sue perizie facevano scuola. Questa attività gli permetteva di entrare in contatto con collezionisti o direttori di musei, ai quali prestava la sua profumatamente ricompensata competenza.

   Spesso aveva modo di entrare in possesso di piccole collezioni di cui il proprietario voleva disfarsi e ovviamente gli capitava di fare eccellenti affari. La stessa abilità che manifestava da banditore nel magnificare le opere in vendita la dispiegava nello sminuire, ma senza esagerare, quelle che acquistava, in maniera così accorta che il proprietario si convinceva di aver venduto ad un prezzo equo.

La sua raccolta di dipinti del xv e xvi secolo era assicurata per diciannove milioni.

 

   Un giorno si presentò agli uffici di una Casa d’Aste un signore che aveva sottobraccio un dipinto avvolto in carta da pacchi.

- Vorrei vendere questa tela, disse all’assistente che lo ricevette. L’ho trovata nel cassetto di un comò, nella soffitta di una casa di campagna che un mio bisnonno acquistò tanti anni fa. L’ho fatta vedere ad un perito del Tribunale che conosco e mi dice che potrebbe essere del Pontormo.

   L’assistente disse che l’avrebbe fatto esaminare dal loro esperto, poi telefonò a Josè che il giorno dopo esaminò il dipinto. Era certamente una tela dipinta nel ’500, senza cornice ma in ottimo stato. Rappresentava la testa di un vecchio che guardava verso l’osservatore. Effettivamente sembrava la realizzazione ad olio di un disegno conservato agli Uffizi, l’Autoritratto di Jacopo Carucci detto il Pontormo, un maestro attivo nella prima metà del xvi secolo.

Dopo la prima occhiata generale, Josè afferrò la grossa lente che abitualmente utilizzava per le sue perizie e percorse con cura tutta la superficie del dipinto. Sul retro della tela una mano anonima aveva scritto con minuta calligrafia antica: del Pontormo.

- Me lo porto a casa per esaminarlo con calma, disse Josè all’assistente. Tu convoca il cliente per domani.

   Il signor Testefràsk, di origini austro-ungheresi, fu fatto accomodare su un divano davanti al cavalletto col dipinto. Sedette sul bordo con la schiena diritta e gli occhi che brillavano di aspettativa. Josè, in piedi, gli si rivolse non col tono abituale dell’esperto nei confronti del neofita, ma con particolare dolcezza e cautela:

- Il suo è un bel dipinto del secolo xvi, signor Testefràsk, un’opera degna di essere collocata in molti musei. Nella Sala del Rinascimento italiano, intendo, non nei magazzini. Perfettamente conservata, necessita appena di una rinfrescata per levarle la polvere dei secoli. Ma, e questa è la brutta notizia, non è del Pontormo.

- Non è autentico?

- Non è del Pontormo.

- È sicuro, professor Somégga?

- Al cento per cento.

- E di chi è?

- Di un’artista che ha imitato il Pontormo.

   Il signor Testefràsk fece una brutta faccia. Era chiaro che si era illuso di aver fatto la scoperta del secolo.

- Un falso?

- Non esattamente.

   Josè gli si sedette accanto, si chinò verso di lui e con voce rammaricata disse:

- Capisco il suo stato d’animo, signor Testefràsk. Sapesse quant’è frequente nel nostro campo! È capitato anche a me, e a tanti altri appassionati d’arte, di credere di possedere un’opera di un grande maestro e invece… Ma nel suo caso non si tratta d’una anonima ‘crosta’, come si suol dire, perché è chiaramente attribuibile ad una ben nota e molto abile pittrice.

- Una donna! Una falsaria!

- Una donna, sì. Erano piuttosto rare le pittrici a quei tempi, non erano ben viste dalla società maschilista dell’epoca. Una donna, ma non una falsaria: non spacciava per non sue le opere che inventava o copiava dai grandi maestri, né ci ricavava profitto. Una donna che dipingeva per passione e che ha creato in questo caso un dipinto molto gradevole e di ottima fattura.

- Come si chiamava? Come ha fatto a scoprire che il dipinto è suo?

- Partirò da lontano, per essere il più chiaro possibile. C’è una lettera dell’alfabeto arabo che ha assunto significati tragici nel corso del tempo, fino ai nostri giorni. Per esempio, per i terroristi del Daesh sta per la parola ‘nasara’, nazareni. È la lettera ‘nun’ ossia le nostra ‘n’. Per loro è il marchio della vergogna, e fu dipinta durante l’occupazione jihadista sulle porte dei cristiani di Mosul, costringendoli alla fuga. Questa di marcare le case degli ‘altri’ è un’usanza diventata di moda nei secoli, inaugurata da Dio stesso: nell’Esodo si narra che tramite Mosè ordinò al popolo eletto di marcare gli stipiti delle loro porte proprio con la ‘nun’, cosicché l’angelo potesse riconoscerle, passare oltre e colpire a morte solo i primogeniti delle famiglie egizie. L’idea piacque agli uomini che la applicarono numerose volte in seguito, per esempio nel secolo scorso dai nazisti che dipingevano in giallo e nero la stella di Davide sulle porte delle case abitate da famiglie ebree.

   Se c’era un difetto che aveva il professor Somégga era una certa pedanteria cattedratica e un’ostentazione di cultura che poteva risultare sgradevole alle persone comuni. Josè vide un moto di impazienza nel signor Testefràsk e tagliò corto la sua esposizione:

- Veniamo a noi, ora. Nicole d’Arengy fu una nobile fanciulla di Rennes, vissuta a cavallo del 1500. Amava la pittura con passione. Non sappiamo chi le avesse insegnato l’arte. Copiava i capolavori del suo tempo ma, essendo le pittrici malviste, non poteva firmare le sue opere e le marcava con un suo personale codice, occultato nelle pieghe del drappeggio o, come in questo caso, nello sguardo del soggetto. Il colpo di luce attorno all’iride dell’occhio sinistro non è altro che la ‘nun’, la ‘n’ di Nicole.

   Prese un foglio e con una matita tracciò la lettera nun: ن

- La sua firma.

   Il signor Testefràsk afferrò la lente che Josè gli porgeva e si chinò sul dipinto.

- Nicole ovviamente non sapeva nulla dei nazisti e dei terroristi del Daesh. Ma era una persona colta, conosceva la Bibbia e l’Esodo e aveva preso a firmare i suoi dipinti così. Solo da una certa data in poi, però, e quindi sono convinto che alcuni dipinti oggi attribuiti a maestri famosi dell’epoca siano opera sua, a testimonianza della sua grande abilità imitativa. Questa tela comunque la firma ce l’ha. Siccome conosciamo l’autrice e approssimativamente il periodo di composizione, il secondo quarto del cinquecento, direi, la tela ha un certo valore. Naturalmente nulla di paragonabile che se fosse stata veramente dipinta dal Maestro.

   Testefràsk se ne andò abbastanza avvilito. José lasciò che smaltisse la delusione, poi qualche giorno dopo gli propose il prezzo base d’asta di ottomila euro:

- È un valore piuttosto alto per questo tipo di opere, ma penso valga la pena di rischiare. Confido che partecipino all’asta due o tre collezionisti di dipinti rinascimentali che dovrebbero essere interessati.

   Il signor Testefràsk accettò la cifra proposta.

 

   Il Catalogo d’asta riportava al Lotto 322: Testa di vecchio, opera di Nicole Françoise d’Arengy, secondo quarto xvi secolo. Base d’asta: ottomila Euro.

Josè presentò l’opera con poche brevi frasi taglienti, senza sminuire il valore del lotto ma nemmeno magnificando l’opera di un’artista semi-sconosciuta al grande pubblico.

- Si tratta di un’opera dipinta nello stile del Pontormo, simile per espressione e atteggiamento alla sanguigna del Maestro conservata al Gabinetto delle Stampe degli Uffizi, disegno datato 1515 circa. Firmata dalla pittrice col suo consueto ideogramma, la lettera araba ‘nun’.

   I due assistenti fecero ruotare a destra e a sinistra la tela per mostrarla al pubblico, mentre il banditore faceva notare lo splendido stato di conservazione della tela, mantenuta al buio per secoli in un locale perfettamente asciutto. Intanto Josè girava lo sguardo sulla sala. L’asta prometteva bene: in ultima fila c’era il noto collezionista professor Cumstèt, collegato al telefono c’era il conte Cheblàzza amatore del genere, in seconda fila alla sinistra c’era una signora dalla splendida capigliatura ramata che ben conosceva: Naturalmente, a garanzia della correttezza dell’asta, avrebbe finto di non riconoscere nessuno dei tre.

   Cominciò la vendita all’incanto. Le offerte si succedevano rapidamente:

- Signore e signori, ora attendo le vostre offerte. Vi ricordo la base d’asta di ottomila euro. Ottomilacento il signore sul fondo… ottomila e due al telefono…. ottomilatrecento la signora alla mia sinistra…. chi mi offre ottomila e quattro?… bene, il signore alla mia destra… ottomilacinquecento al telefono… posso avere ottomila e sei?... ottomila e seicento la signora alla sinistra… andiamo per ottomila e sette?... ottomila e settecento il signore sul fondo… ottomila e ottocento Euro la signora… Nessuno più?

   Josè girò lo sguardo circolarmente sulla sala, diede un’ultima occhiata all’assistente addetto a ricevere le offerte al telefono e al suo osservatore, che lo fissò immobile dal fondo della sala, le mani allacciate dietro la schiena. Il martello batté sul zocchetto di legno:

- Bene. Lotto 322 aggiudicato per ottomilaottocento Euro alla signora alla mia sinistra.

   Tutto non era durato più di due minuti. In prima fila il signor Testefràsk sorrideva.

 

   La signora dai capelli ramati bussò alla porta dello studio di Josè e mise la testa dentro:

- Si può?

   Josè, seduto al tavolo di lavoro, si alzò per andarle incontro:

- Che domande, Sirena! Accomodati.

   Sedettero entrambi su un divano Luigi xvi che Josè riservava alle riunioni importanti.

Sirena era una sua vecchia fiamma con la quale aveva avuto un rapporto piuttosto tormentato finché era stato vivo, ma che gli aveva lasciato una grande pace nel cuore e una tenerezza particolare per la donna quando s’era interrotto. Erano rimasti amici; anzi: l’amicizia e l’affetto erano diventati così intensi da superare l’appagamento che ad entrambi aveva procurato il precedente rapporto amoroso, soprattutto quando questo s’era trasformato in un rapporto d’affari.

- T’è piaciuta l’asta, Sirena?

- Un colpo da maestro. Come sempre del resto.

   Sirena trasse una chiave dalla borsetta:

- Ecco la chiave della cassetta di sicurezza.

   Cambiavano Banca ogni volta. Josè lesse sul portachiavi: Agenzia del Credito Italiano - via Emilio Xazuzìd 9. Si alzò per mettere la chiave nel cassetto inferiore di una commode galbée bicolore, contemporaneamente traendone una busta che porse a Sirena:

- Ecco. Per te, tesoro. Il solito.

   Sirena mise la busta nella borsetta e chiese:

- Sei sicuro che sia del Pontormo?

- Ma certamente! Il tratto, la pennellata, la scelta dei colori, i chiaroscuri… Del resto c’è anche il bozzetto in sanguigna agli Uffizi, che vogliamo di più!

- E la ‘nun’?

- Ah già! Una mia piccola aggiunta ad acquarello… Domani con un po’ d’acqua sparirà.

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