sabato 13 agosto 2022

O S P E D A L E A L - S H I F A di Sandro Cuppini

 

O   S   P   E   D   A   L   E       A   L  -  S   H   I   F   A

 

 

   Prima della rappresaglia dovevamo ripararci in un rifugio. La jeep era pronta. Si può essere più scemi? Versare una tanica di benzina nel serbatoio con una sigaretta tra le labbra! Col caldo che faceva laggiù nel deserto! È bastato perché i vapori che fuoriuscivano pigliassero fuoco: puff!

   Che puzza! È lui che puzza, dice che sono le gambe.

- Amjad! Mi puoi cambiare le pezze?

   Sento i passi zoccolati di due infermieri che arrivano. Trafficano attorno alle sue gambe e quando gli svolgono le pezze la puzza triplica.

- Ahiii!

- Te le medichiamo, dice quello che riconosco come Amjad, il capo infermiere. Sta’ fermo.

   Quando se ne vanno chiedo:

- Va meglio?

   Non risponde.

- Dov’è Fahad?, domando ancora.

- Non so.

- Dove l’hanno portato?

- Sei arrivato solo tu, e per una notte non hai fatto che lamentarti.

- Erano gli occhi.

- Ti hanno bendato. Il dottore dice che tornerai come prima.

- Dicono sempre così. Il fatto è che sono cieco. Avrei voglia di fumare. Lui ne fumava quaranta al giorno, se le accendeva con la cicca dell’ultima! Fumava anche nei rifugi. Dove l’hanno portato, Fahad, accidenti a lui?

- Non lo so. Non lo sa nessuno, qui.

   Povero Fahad!, penso. Un bravo ragazzo, un po’ coglione ma sempre un bravo ragazzo. Mi viene da piangere, ma non so se il dolore che sento dentro si scioglie in lacrime. Mi tocco le bende sugli occhi, non sono umide. Forse non riuscirò nemmeno più a piangere. Ormai non ci restano nemmeno gli occhi per piangere, dicevano certuni al funerale di Arafat, un novembre di anni fa. Credevo fosse un modo di dire, invece…

 

   Sento odore di fumo.

- Ce l’hai una sigaretta anche per me?

   Mi infila una sigaretta bagnata di saliva in bocca, mezza fumata. Ma che buona che è! È la prima che fumo dopo l’incidente. Il fumo mi aiuta a sopportare il puzzo delle sue gambe.

   Entra un infermiere della Sanità. Lo capisco dal saluto.

- Ciao Vaselina, dice. Cosa vieni a fare! La medicazione me l’hanno già cambiata quelli dell’ospedale. Se aspettavo te…

- Apri la bocca. Toh. Questo mica te lo danno, qui.

- Cos’è.

- Un calmante. Altrimenti rompi le palle tutta notte coi tuoi lamenti.

- Vorrei vedere te, con le gambe ridotte così.

   Il capitano dice che tornerò come prima. Qui si mangia bene, almeno, non la roba scotta che arrivava al campo. E almeno non c’è il sole che ti picchia in testa, qui.

Se solo non ci fosse questa puzza di marcio… Però sempre allegro, sempre disponibile e gentile, questo qua, nonostante le gambe…

Io resterò cieco, e allora, come la metterò?

- Che grado ha il dottore?, domando al Vaselina.

- Capitano medico.

   Per lo meno non è un sottotenente appena laureato. Speriamo ci capisca qualcosa.

 

   - È uscita?

- Chi? Quella alta o la bassa?

- Tutt’e due. Dimmi quando escono, insieme o una per volta. E i bambini? Stanno sempre a giocare sotto il platano?

   Sono bimbi nostri, palestinesi. Non giocano come giocavamo noi. Non gridano, non ridono. Sono tristi, sempre seri. Se disegnano è un drone o un aereo che arriva sulla Striscia a bombardare, o uno dei nostri che tira un razzo. Ma non giocano nemmeno alla guerra: come esercitare la loro immensa fantasia su una realtà quotidiana che tutti conoscono a memoria, che ha ucciso un fratello, un cugino o addirittura il padre?

- Cosa vedi?

- Infermieri e medici che traversano il giardinetto sotto di noi, dove c’è un po’ d’erba e cespugli verdi. Mica come quegli stecchi secchi del deserto. E poi c’è un palazzo, con appartamenti e negozi sotto, pieni di cose che se le vedessi…

- Che cose?

   Mi parla, me le descrive: roba da mangiare, jeans e camicie, anche armi. Mi sembra incredibile questa abbondanza.

- Ci vedrò ancora, le rivedrò quelle cose?

- Il capitano dice di sì.

- È uscita quella alta?

- Sì, proprio adesso.

- Com’era?

- Camminava che sembrava avesse inghiottito la scopa. Diritta, superba. Ma non credere, non è poi così bella.

- Bisognerebbe vedere sotto…

- Credimi, io c’ho l’occhio. Capisco da sopra la abaya se c’ha un bel culo o le tette grosse come piacciono a te. E quella alta non c’ha niente di interessante. Carina di viso, non c’è che dire, ma il resto…

- Dimmi quando esce la piccola.

- Adesso ci sono due ragazze che sono entrate in un negozio a comprare pistacchi.

- Belle?

- Chi lo sa! Non riesco a vedere.

- Neanch’io!, dico amaramente.

- Ora hanno comprato delle melagrane. Adesso le mangiano a morsi. Il sugo cola sul mento, si asciugano con l’hijab.

- Che porcellone!, rido.

   E poi dice che vede un terrazzo, giù verso l’angolo della strada, sul quale c’è tutto il giorno un vecchio, seduto col mento appoggiato al bastone. Ha la barba lunga fino a metà del petto e parla sempre con qualcuno dalla parte opposta della strada. Non riesce a vedere l’altro, ma da quello che può intuire dalle espressioni del vecchio è uno come lui, forse un amico. E poi c’è un carretto che vende meloni, proprio sotto il vecchio del bastone. Il vecchio mangia semi di zucca salati e sputa le bucce di sotto. E l’uomo dei meloni si incazza e gli urla insolenze, ma il vecchio di sopra se ne fotte, e, anzi, sputa di sotto ancor di più, anche saliva. Ora il carretto si sposta dalla parte opposta della strada e lui lo vede appena. Ma forse si è piazzato proprio sotto il balcone dell’amico, perché ora l’uomo del carretto è in mezzo alla strada e agita il pugno verso l’alto, mentre il vecchio appoggiato al bastone sghignazza.

 

   Oggi la puzza è sempre più forte, ed è da ieri che non mi racconta più nulla. Sono venuti Amjad e altri due e hanno parlato a lungo, sottovoce. Non capivo nulla, capivo però che parlavano di lui. Poi l’hanno portato via e io l’ho salutato, ma lui non ha risposto. I due sono poi tornati per cambiare le lenzuola, hanno aperto la finestra dalla parte del corridoio e la puzza se n’è andata. Ho chiesto se qualcuno mi dava una sigaretta, ma quelli hanno detto che non potevo fumare, perché se no bruciavo le lenzuola, il materasso e magari anche tutto l’ospedale. E poi mi faceva male agli occhi, fumare.

- Ormai, peggio di così…, ho risposto.

 

   Così, finalmente, oggi è venuto il capitano medico, e mi hanno tolto i cerotti e le bende. Mi ha detto di aprire gli occhi, e io li ho richiusi subito, perché la luce me li feriva dopo tanto tempo di buio. Poi li ho riaperti piano piano e li ho subito girati dalla parte della finestra, oltre al letto di quello dalle gambe puzzolenti.

   Di là dal vetro non c’era altro che un maledetto muro mattoni grigi, a un metro dalla finestra, un tubo per l’aerazione e nient’altro. E perché cazzo lui mi abbia raccontato tutte quelle storie io proprio non riesco a capirlo.

 

 

 

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