O S
P E D
A L E
A L -
S H I
F A
Prima
della rappresaglia dovevamo ripararci in un rifugio. La jeep era pronta. Si può
essere più scemi? Versare una tanica di benzina nel serbatoio con una sigaretta
tra le labbra! Col caldo che faceva laggiù nel deserto! È bastato perché i
vapori che fuoriuscivano pigliassero fuoco: puff!
Che
puzza! È lui che puzza, dice che sono le gambe.
-
Amjad! Mi puoi cambiare le pezze?
Sento i passi zoccolati di due infermieri che arrivano. Trafficano
attorno alle sue gambe e quando gli svolgono le pezze la puzza triplica.
- Ahiii!
- Te
le medichiamo, dice quello
che riconosco come Amjad, il capo infermiere. Sta’ fermo.
Quando se ne vanno chiedo:
- Va
meglio?
Non
risponde.
-
Dov’è Fahad?, domando
ancora.
-
Non so.
-
Dove l’hanno portato?
-
Sei arrivato solo tu, e per una notte non hai fatto che lamentarti.
-
Erano gli occhi.
- Ti
hanno bendato. Il dottore dice che tornerai come prima.
-
Dicono sempre così. Il fatto è che sono cieco. Avrei voglia di fumare. Lui ne
fumava quaranta al giorno, se le accendeva con la cicca dell’ultima! Fumava
anche nei rifugi. Dove l’hanno portato, Fahad, accidenti a lui?
-
Non lo so. Non lo sa nessuno, qui.
Povero
Fahad!, penso. Un bravo ragazzo, un po’ coglione ma sempre un bravo ragazzo. Mi
viene da piangere, ma non so se il dolore che sento dentro si scioglie in
lacrime. Mi tocco le bende sugli occhi, non sono umide. Forse non riuscirò
nemmeno più a piangere. Ormai non ci
restano nemmeno gli occhi per piangere, dicevano certuni al funerale di Arafat,
un novembre di anni fa. Credevo fosse un modo di dire, invece…
Sento
odore di fumo.
- Ce
l’hai una sigaretta anche per me?
Mi
infila una sigaretta bagnata di saliva in bocca, mezza fumata. Ma che buona che
è! È la prima che fumo dopo l’incidente. Il fumo mi aiuta a sopportare il puzzo
delle sue gambe.
Entra
un infermiere della Sanità. Lo capisco dal saluto.
-
Ciao Vaselina, dice. Cosa vieni a fare! La medicazione me l’hanno
già cambiata quelli dell’ospedale. Se aspettavo te…
-
Apri la bocca. Toh. Questo mica te lo danno, qui.
-
Cos’è.
- Un
calmante. Altrimenti rompi le palle tutta notte coi tuoi lamenti.
-
Vorrei vedere te, con le gambe ridotte così.
Il
capitano dice che tornerò come prima. Qui si mangia bene, almeno, non la roba
scotta che arrivava al campo. E almeno non c’è il sole che ti picchia in testa,
qui.
Se solo non ci fosse questa puzza di marcio…
Però sempre allegro, sempre disponibile e gentile, questo qua, nonostante le
gambe…
Io resterò cieco, e allora, come la metterò?
-
Che grado ha il dottore?,
domando al Vaselina.
-
Capitano medico.
Per
lo meno non è un sottotenente appena laureato. Speriamo ci capisca qualcosa.
- È uscita?
-
Chi? Quella alta o la bassa?
-
Tutt’e due. Dimmi quando escono, insieme o una per volta. E i bambini? Stanno
sempre a giocare sotto il platano?
Sono
bimbi nostri, palestinesi. Non giocano come giocavamo noi. Non gridano, non
ridono. Sono tristi, sempre seri. Se disegnano è un drone o un aereo che arriva
sulla Striscia a bombardare, o uno dei nostri che tira un razzo. Ma non giocano
nemmeno alla guerra: come esercitare la loro immensa fantasia su una realtà
quotidiana che tutti conoscono a memoria, che ha ucciso un fratello, un cugino
o addirittura il padre?
-
Cosa vedi?
- Infermieri e medici che traversano il
giardinetto sotto di noi, dove c’è un po’ d’erba e cespugli verdi. Mica come
quegli stecchi secchi del deserto. E poi c’è un palazzo, con appartamenti e
negozi sotto, pieni di cose che se le vedessi…
- Che cose?
Mi parla, me le descrive: roba da mangiare, jeans e camicie, anche armi. Mi sembra incredibile questa abbondanza.
- Ci vedrò ancora, le rivedrò quelle cose?
- Il capitano dice di sì.
- È uscita quella alta?
- Sì, proprio adesso.
- Com’era?
- Camminava che sembrava avesse inghiottito
la scopa. Diritta, superba. Ma non credere, non è poi così bella.
- Bisognerebbe vedere sotto…
- Credimi, io c’ho l’occhio. Capisco da
sopra la abaya se c’ha un bel culo o le tette grosse come piacciono a te. E
quella alta non c’ha niente di interessante. Carina di viso, non c’è che dire,
ma il resto…
-
Dimmi quando esce la piccola.
-
Adesso ci sono due ragazze che sono entrate in un negozio a comprare pistacchi.
-
Belle?
-
Chi lo sa! Non riesco a vedere.
-
Neanch’io!, dico amaramente.
-
Ora hanno comprato delle melagrane. Adesso le mangiano a morsi. Il sugo cola
sul mento, si asciugano con l’hijab.
-
Che porcellone!, rido.
E
poi dice che vede un terrazzo, giù verso l’angolo della strada, sul quale c’è
tutto il giorno un vecchio, seduto col mento appoggiato al bastone. Ha la barba
lunga fino a metà del petto e parla sempre con qualcuno dalla parte opposta
della strada. Non riesce a vedere l’altro, ma da quello che può intuire dalle
espressioni del vecchio è uno come lui, forse un amico. E poi c’è un carretto
che vende meloni, proprio sotto il vecchio del bastone. Il vecchio mangia semi
di zucca salati e sputa le bucce di sotto. E l’uomo dei meloni si incazza e gli
urla insolenze, ma il vecchio di sopra se ne fotte, e, anzi, sputa di sotto
ancor di più, anche saliva. Ora il carretto si sposta dalla parte opposta della
strada e lui lo vede appena. Ma forse si è piazzato proprio sotto il balcone
dell’amico, perché ora l’uomo del carretto è in mezzo alla strada e agita il
pugno verso l’alto, mentre il vecchio appoggiato al bastone sghignazza.
Oggi
la puzza è sempre più forte, ed è da ieri che non mi racconta più nulla. Sono
venuti Amjad e altri due e hanno parlato a lungo, sottovoce. Non capivo nulla,
capivo però che parlavano di lui. Poi l’hanno portato via e io l’ho salutato,
ma lui non ha risposto. I due sono poi tornati per cambiare le lenzuola, hanno
aperto la finestra dalla parte del corridoio e la puzza se n’è andata. Ho
chiesto se qualcuno mi dava una sigaretta, ma quelli hanno detto che non potevo
fumare, perché se no bruciavo le lenzuola, il materasso e magari anche tutto
l’ospedale. E poi mi faceva male agli occhi, fumare.
-
Ormai, peggio di così…, ho
risposto.
Così, finalmente, oggi è venuto il capitano medico, e mi hanno tolto i
cerotti e le bende. Mi ha detto di aprire gli occhi, e io li ho richiusi
subito, perché la luce me li feriva dopo tanto tempo di buio. Poi li ho
riaperti piano piano e li ho subito girati dalla parte della finestra, oltre al
letto di quello dalle gambe puzzolenti.
Di
là dal vetro non c’era altro che un maledetto muro mattoni grigi, a un metro
dalla finestra, un tubo per l’aerazione e nient’altro. E perché cazzo lui mi
abbia raccontato tutte quelle storie io proprio non riesco a capirlo.
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