Il circo dei bambini
Passeggia, tra le strade della desolata cittadina,
un vento triste. Il ticchettio monotono, proveniente dalla cava giù al fiume,
svuota i cuori dei lavoratori sudati. Non è colpa di nessuno se il prezzo del
carbone è calato, dopo che i treni hanno iniziato a mangiare l’elettricità. Il
suono continua, imperterrito, serpeggiando tra i cunicoli rocciosi della
miniera.
“Anche i bambini?” La signorina Cecile è da poco
diventata la maestra della piccola scuola elementare, l’unica della solitaria
Pillows Creek. L’uomo, che sembra nascondersi dietro i suoi baffoni pettinati,
è anch’egli amareggiato. “Temo di sì. Per poter continuare a commerciare con la
capitale, dobbiamo fornirgli molto più carbone, specialmente ora che il valore
del minerale è rasente allo zero”. E’ un tipo onesto, il sindaco. Purtroppo
però deve fare ciò che gli viene detto, altrimenti quelli là alzerebbero
ulteriormente le tasse. L’abito rosa di Cecile sfiora il pavimento di legno
zozzo; da quanto tempo non lo lucidano?
La città sembra cadere a pezzi, ma non si può fare
niente. I ricchi impresari della capitale vogliono riempirsi le tasche, a
discapito dei poveri abitanti locali. “Ma il lavoro in miniera è duro, signor
sindaco. Troppo per dei bambini; rovineremo il loro futuro”. L’uomo si alza
dalla sedia scricchiolante e cammina avanti e indietro, guardando fuori dalle
finestre opache e piene di polvere. “Che futuro potrebbero mai avere qui?
Pillows Creek è morta da un pezzo. Tanto è così, inutile continuare a
discutere”. La maestra stringe tra le mani il fazzoletto delicato, quello con i
ricami di pizzo. Lo avvicina agli occhi stanchi per raccogliere una lacrima rassegnata.
Il divertimento sembra essere volato via, insieme
alle rondini, alla ricerca di un posto più caldo in cui fermarsi. La
spensieratezza è stata chiusa in gabbia, come quelle piccole anime costrette a frantumare
i blocchi di roccia. Anche quando sparpagliati tra i banchi, i bambini sembrano
assenti; sono stanchi, demotivati e tristi. Cecile studia con amarezza i volti
graffiati dei suoi alunni; sono sporchi e scavati dalle lacrime. Che cosa si
può fare?
C’è un bambino solitario, in fondo alla classe;
sorride guardando fuori dalla finestra. “Che cosa fai, Daniel?” I due occhietti
si incontrano con quelli della maestra. Sono stranamente accesi, pieni di vita.
“Sogno, signorina Cecile”. Lei rimane a bocca aperta. Come è possibile che un
ragazzino di dieci anni riesca a sopportare tutto questo? La noia delle lezioni
monotone, alternate alle ore infinite di lavoro nella cava, dovrebbero spegnere
ogni luce nel suo cuore. Invece se ne sta lì, impalato, con un ingenuo sorriso
stampato sulle labbra. “E cosa sogni?” Daniel è il figlio di Mary e Louis. Sono
i proprietari della casetta adiacente al pozzo, vicino alla foresta. “Un mondo
migliore”. Cecile sorride; la sua espressione è un incrocio tra compassione e
amore. Vorrebbe dirgli che esiste, alla fine della strada ferrata che porta
oltre la capitale, ma non può farlo. Che senso potrebbe avere illudere un
bambino? La sua vita è nella miniera. “Temo che un mondo migliore di questo non
esista, Daniel”. Il vento apre i battenti della finestra e fa scorrere le
pagine dei libri aperti, distesi sugli anonimi banchi di abete. Lui continua a
sorridere. “Se è l’unico che abbiamo, rendiamolo un po’ più allegro. Sennò gli
uccelli non tornano più”. Non sa come ribattere. La maestra ha paura di quelle
parole; rivede in Daniel se stessa, prima di diventare grande. “Continuiamo con
la lettura. Ethel, è il tuo turno”. Il bambino torna a guardare fuori dalla
finestra.
Durante le calde ore pomeridiane il suono
malinconico continua a fuoriuscire dalla cava, giù al fiume. Cecile passeggia,
sta andando a riempire il secchio per lavare i panni. L’acqua scorre rapida,
scivola via come i suoi impolverati buoni propositi.
Tra il ticchettare ordinato dei picconi, sente una
melodia strana; è irregolare, frettolosa. I lavoratori escono dalla miniera,
sembrano sagome di cartone sconfitte dall’umidità della caverna. Daniel
saltella allegramente, illuminando il fondo della scia di persone che si
trascina all’esterno. Appena riconosce la sua maestra, le corre incontro.
“Signorina Cecile! Le è piaciuta la mia canzone?” Inizialmente è perplessa, poi
scoppia a ridere; il suo viso si è rasserenato. “Canzone? Riesci a prendere il
bello da ogni cosa, vero?” Lui continua a sorridere. “Appena avrò finito di
raccogliere il carbone, torneremo tutti quanti a giocare nei prati. Aspetti e
vedrà!” Si allontana, canticchiando, verso la casetta adiacente al pozzo.
Cecile non riesce a dormire. La luna sembra volerle
dire qualcosa, ma lei non capisce. Si gira tra le pungenti lenzuola, fredde anche
d’estate. Guarda il muro, vuoto e
silenzioso come sempre. Quel bambino le fa pensare che forse non si è obbligati
a dire che “tanto è così”. Le parole escono da sole dalle sue labbra serrate e
asciutte. Forse si può ancora fare qualcosa, per far tornare gli uccelli, per
rallegrare le strade deserte, per creare un po’ di melodia in quello spezzato
ticchettio ordinato e rassegnato. Cosa si può fare? Un’altra notte insonne.
“Ragazzi oggi usciamo”. Gli occhi spenti dei
ragazzini, sulle sedie rovinate, si accendono. Daniel distoglie lo sguardo dal
paesaggio ombroso, fuori dalla finestra, per concentrarsi sui lunghi capelli
color nocciola della maestra. Oggi sorride, sembra avere qualcosa in mente. Le
gambette si tirano su, a fatica, sorreggendo i corpicini stanchi. Il gruppo di
alunni si dirige fuori dalla scuola, poi verso il grande piazzale al centro di
quell’ammasso disordinato di case. Le strade sono silenziose, gli adulti
iniziano a picconare già all’alba. Ci sono delle grandi casse, appoggiate qua e
là. Cecile richiama l’attenzione di tutti i presenti. “Entro stasera deve
essere tutto pronto. Mettiamocela tutta!” Il suo entusiasmo non sembra riuscire
ad accattivare i bambini; mentre curiosano nelle scatole, prende Daniel da
parte. “Mi serve il tuo aiuto”.
“Un circo? Nella mia città?” Il sindaco è abbastanza
sorpreso da quell’affermazione. Non era mai successa una cosa del genere. “Sì,
per cercare di sollevare un po’ il morale degli abitanti; l’aria inizia ad
essere pesante, hanno tutti bisogno di svagarsi. Solo per questa sera”. L’uomo
continua a camminare per la stanza, sembra non essersi mai fermato. “Beh, se
questo servirà ad incentivare la produzione, non vedo perché dovrei rifiutare.
Ebbene, avete la mia approvazione, farò esporre i manifesti”. Daniel e Cecile
si guardano e sorridono. Adesso la strada è in discesa.
E’ strana, questa sera. Le persone sono ancora tese
e stanche, ma tengono saldamente nelle mani quei pezzetti di carta; quelli che
dicono che i loro figli hanno preparato uno spettacolo circense, nel grande
tendone colorato che è apparso sul piazzale. Stona un po’ con il grigiore delle
case decadenti, ma è piacevole a vedersi. I picconi riposano nei magazzini,
ancora sporchi, mentre il sole fa posto alle luminose stelle. Il primo
cittadino tiene le mani conserte, dietro alla schiena, accanto alla maestra.
“Ci sono tutti, è incredibile signorina Cecile”. Lei sa che però non è
sufficiente. “Ora che li abbiamo riuniti, dobbiamo creare un po’ di magia”. Il
sindaco solleva il sopracciglio, per fare capire che non ha inteso. “Magia?” La
maestra guarda quello spettacolo di luci e colori, nella triste Pillows Creek.
“Esattamente. Facciamo tornare l’allegria”.
C’è silenzio, nel tendone. La stanchezza
appesantisce l’aria, nel buio del circo improvvisato. Le anime spente sono in
attesa; non comprendono la sensazione di inaspettata agitazione che gorgoglia
nei loro stomaci. Una luce si accende e si indirizza sul piccolo Daniel.
Indossa abiti eleganti, coronati da un cappello a cilindro, che lui allontana
dalla testa con scioltezza; ecco l’inchino che dà inizio al gioco di colori e
spettacoli. I bambini saltano e corrono per tutta la piazzetta, esibendo
splendidi sorrisi e spensieratezza. C’è chi gioca con i cerchi, chi a guardie e
ladri, chi a nascondino. Nessuno è solo, persino Daniel, sotto lo sguardo fiero
dei suoi genitori, si unisce agli altri compagni. Le persone, nel circo, sono
immobili. Nella penombra, si sente un timido battito di mani. Poi un altro.
Diventa un possente boato di felicità e di orgoglio. Il sindaco è sorpreso da
quel successo che sembra essere ingiustificato. “Signorina Cecile, come mai
sono tutti così entusiasti?”. Lei guarda con occhi amorevoli quelle
meravigliose creature. “Cosa c’è di più bello dei bambini felici? I genitori
vivono per loro, saperli contenti li riempie di serenità”. Una rondine si
appoggia sul tendone del circo. “Vedrà
domani, che melodia disordinata uscirà dalla miniera!”
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