sabato 13 agosto 2022

Il circo dei bambini di Emanuele Rizzi

 

Il circo dei bambini

 

Passeggia, tra le strade della desolata cittadina, un vento triste. Il ticchettio monotono, proveniente dalla cava giù al fiume, svuota i cuori dei lavoratori sudati. Non è colpa di nessuno se il prezzo del carbone è calato, dopo che i treni hanno iniziato a mangiare l’elettricità. Il suono continua, imperterrito, serpeggiando tra i cunicoli rocciosi della miniera.

“Anche i bambini?” La signorina Cecile è da poco diventata la maestra della piccola scuola elementare, l’unica della solitaria Pillows Creek. L’uomo, che sembra nascondersi dietro i suoi baffoni pettinati, è anch’egli amareggiato. “Temo di sì. Per poter continuare a commerciare con la capitale, dobbiamo fornirgli molto più carbone, specialmente ora che il valore del minerale è rasente allo zero”. E’ un tipo onesto, il sindaco. Purtroppo però deve fare ciò che gli viene detto, altrimenti quelli là alzerebbero ulteriormente le tasse. L’abito rosa di Cecile sfiora il pavimento di legno zozzo; da quanto tempo non lo lucidano?

La città sembra cadere a pezzi, ma non si può fare niente. I ricchi impresari della capitale vogliono riempirsi le tasche, a discapito dei poveri abitanti locali. “Ma il lavoro in miniera è duro, signor sindaco. Troppo per dei bambini; rovineremo il loro futuro”. L’uomo si alza dalla sedia scricchiolante e cammina avanti e indietro, guardando fuori dalle finestre opache e piene di polvere. “Che futuro potrebbero mai avere qui? Pillows Creek è morta da un pezzo. Tanto è così, inutile continuare a discutere”. La maestra stringe tra le mani il fazzoletto delicato, quello con i ricami di pizzo. Lo avvicina agli occhi stanchi per raccogliere una lacrima rassegnata.

 

Il divertimento sembra essere volato via, insieme alle rondini, alla ricerca di un posto più caldo in cui fermarsi. La spensieratezza è stata chiusa in gabbia, come quelle piccole anime costrette a frantumare i blocchi di roccia. Anche quando sparpagliati tra i banchi, i bambini sembrano assenti; sono stanchi, demotivati e tristi. Cecile studia con amarezza i volti graffiati dei suoi alunni; sono sporchi e scavati dalle lacrime. Che cosa si può fare?

C’è un bambino solitario, in fondo alla classe; sorride guardando fuori dalla finestra. “Che cosa fai, Daniel?” I due occhietti si incontrano con quelli della maestra. Sono stranamente accesi, pieni di vita. “Sogno, signorina Cecile”. Lei rimane a bocca aperta. Come è possibile che un ragazzino di dieci anni riesca a sopportare tutto questo? La noia delle lezioni monotone, alternate alle ore infinite di lavoro nella cava, dovrebbero spegnere ogni luce nel suo cuore. Invece se ne sta lì, impalato, con un ingenuo sorriso stampato sulle labbra. “E cosa sogni?” Daniel è il figlio di Mary e Louis. Sono i proprietari della casetta adiacente al pozzo, vicino alla foresta. “Un mondo migliore”. Cecile sorride; la sua espressione è un incrocio tra compassione e amore. Vorrebbe dirgli che esiste, alla fine della strada ferrata che porta oltre la capitale, ma non può farlo. Che senso potrebbe avere illudere un bambino? La sua vita è nella miniera. “Temo che un mondo migliore di questo non esista, Daniel”. Il vento apre i battenti della finestra e fa scorrere le pagine dei libri aperti, distesi sugli anonimi banchi di abete. Lui continua a sorridere. “Se è l’unico che abbiamo, rendiamolo un po’ più allegro. Sennò gli uccelli non tornano più”. Non sa come ribattere. La maestra ha paura di quelle parole; rivede in Daniel se stessa, prima di diventare grande. “Continuiamo con la lettura. Ethel, è il tuo turno”. Il bambino torna a guardare fuori dalla finestra.

 

Durante le calde ore pomeridiane il suono malinconico continua a fuoriuscire dalla cava, giù al fiume. Cecile passeggia, sta andando a riempire il secchio per lavare i panni. L’acqua scorre rapida, scivola via come i suoi impolverati buoni propositi.

Tra il ticchettare ordinato dei picconi, sente una melodia strana; è irregolare, frettolosa. I lavoratori escono dalla miniera, sembrano sagome di cartone sconfitte dall’umidità della caverna. Daniel saltella allegramente, illuminando il fondo della scia di persone che si trascina all’esterno. Appena riconosce la sua maestra, le corre incontro. “Signorina Cecile! Le è piaciuta la mia canzone?” Inizialmente è perplessa, poi scoppia a ridere; il suo viso si è rasserenato. “Canzone? Riesci a prendere il bello da ogni cosa, vero?” Lui continua a sorridere. “Appena avrò finito di raccogliere il carbone, torneremo tutti quanti a giocare nei prati. Aspetti e vedrà!” Si allontana, canticchiando, verso la casetta adiacente al pozzo.

 

Cecile non riesce a dormire. La luna sembra volerle dire qualcosa, ma lei non capisce. Si gira tra le pungenti lenzuola, fredde anche d’estate.  Guarda il muro, vuoto e silenzioso come sempre. Quel bambino le fa pensare che forse non si è obbligati a dire che “tanto è così”. Le parole escono da sole dalle sue labbra serrate e asciutte. Forse si può ancora fare qualcosa, per far tornare gli uccelli, per rallegrare le strade deserte, per creare un po’ di melodia in quello spezzato ticchettio ordinato e rassegnato. Cosa si può fare? Un’altra notte insonne.

 

“Ragazzi oggi usciamo”. Gli occhi spenti dei ragazzini, sulle sedie rovinate, si accendono. Daniel distoglie lo sguardo dal paesaggio ombroso, fuori dalla finestra, per concentrarsi sui lunghi capelli color nocciola della maestra. Oggi sorride, sembra avere qualcosa in mente. Le gambette si tirano su, a fatica, sorreggendo i corpicini stanchi. Il gruppo di alunni si dirige fuori dalla scuola, poi verso il grande piazzale al centro di quell’ammasso disordinato di case. Le strade sono silenziose, gli adulti iniziano a picconare già all’alba. Ci sono delle grandi casse, appoggiate qua e là. Cecile richiama l’attenzione di tutti i presenti. “Entro stasera deve essere tutto pronto. Mettiamocela tutta!” Il suo entusiasmo non sembra riuscire ad accattivare i bambini; mentre curiosano nelle scatole, prende Daniel da parte. “Mi serve il tuo aiuto”.

 

“Un circo? Nella mia città?” Il sindaco è abbastanza sorpreso da quell’affermazione. Non era mai successa una cosa del genere. “Sì, per cercare di sollevare un po’ il morale degli abitanti; l’aria inizia ad essere pesante, hanno tutti bisogno di svagarsi. Solo per questa sera”. L’uomo continua a camminare per la stanza, sembra non essersi mai fermato. “Beh, se questo servirà ad incentivare la produzione, non vedo perché dovrei rifiutare. Ebbene, avete la mia approvazione, farò esporre i manifesti”. Daniel e Cecile si guardano e sorridono. Adesso la strada è in discesa.

 

E’ strana, questa sera. Le persone sono ancora tese e stanche, ma tengono saldamente nelle mani quei pezzetti di carta; quelli che dicono che i loro figli hanno preparato uno spettacolo circense, nel grande tendone colorato che è apparso sul piazzale. Stona un po’ con il grigiore delle case decadenti, ma è piacevole a vedersi. I picconi riposano nei magazzini, ancora sporchi, mentre il sole fa posto alle luminose stelle. Il primo cittadino tiene le mani conserte, dietro alla schiena, accanto alla maestra. “Ci sono tutti, è incredibile signorina Cecile”. Lei sa che però non è sufficiente. “Ora che li abbiamo riuniti, dobbiamo creare un po’ di magia”. Il sindaco solleva il sopracciglio, per fare capire che non ha inteso. “Magia?” La maestra guarda quello spettacolo di luci e colori, nella triste Pillows Creek. “Esattamente. Facciamo tornare l’allegria”.   

 

C’è silenzio, nel tendone. La stanchezza appesantisce l’aria, nel buio del circo improvvisato. Le anime spente sono in attesa; non comprendono la sensazione di inaspettata agitazione che gorgoglia nei loro stomaci. Una luce si accende e si indirizza sul piccolo Daniel. Indossa abiti eleganti, coronati da un cappello a cilindro, che lui allontana dalla testa con scioltezza; ecco l’inchino che dà inizio al gioco di colori e spettacoli. I bambini saltano e corrono per tutta la piazzetta, esibendo splendidi sorrisi e spensieratezza. C’è chi gioca con i cerchi, chi a guardie e ladri, chi a nascondino. Nessuno è solo, persino Daniel, sotto lo sguardo fiero dei suoi genitori, si unisce agli altri compagni. Le persone, nel circo, sono immobili. Nella penombra, si sente un timido battito di mani. Poi un altro. Diventa un possente boato di felicità e di orgoglio. Il sindaco è sorpreso da quel successo che sembra essere ingiustificato. “Signorina Cecile, come mai sono tutti così entusiasti?”. Lei guarda con occhi amorevoli quelle meravigliose creature. “Cosa c’è di più bello dei bambini felici? I genitori vivono per loro, saperli contenti li riempie di serenità”. Una rondine si appoggia sul tendone del circo.  “Vedrà domani, che melodia disordinata uscirà dalla miniera!”

 

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