sabato 13 agosto 2022

Benedò - di Francesco Masini

 

PER   L'AMOR   DI   BENEDÒ

                                        (Grazie al quale ognun passò)

                                                                                                         Ricordi amari

                                                                                                         e amenità

                                                                                                         di un’acerbissima

                                                                                                         maturità                                                                                                                                               Non ho fatto gran carriera,

la pagella è nera nera,

mi distanzio (che imprudenza!)

molto dalla sufficienza;

però, in barba alla pressione

dell'avversa condizione

all'esame arriverò

grazie al cuor di Benedò.

Nella lingua non son forte,

come avrò una buona sorte?

Parlo male e scrivo peggio,

la sintassi mal maneggio,

mentre nell'ortografia

ogni norma spazzo via.

Prospettiva proprio grama

offre un tale panorama;

prospettiva molto dura,

non però da aver paura:

sì, all'esame arriverò

grazie al cuor di Benedò!

L'aritmetica, d'altronde,

grandemente mi confonde;

l'aritmetica, davvero,

è per me un gran buco nero.

Sulle ascisse e le ordinate

so sparar grandi cazzate;

il comune divisore

percepisco con terrore;

sulle rette parallele

stringo i denti e ingoio fiele.

Quadro assai triste, lo so;

ne son conscio, sì, però

non pensate che il diploma

sfumi via con la sua soma

della mia somareria,

la più eccelsa che ci sia.

A ogni male c'è rimedio:

uscirò da questo assedio

e all' orale arriverò

grazie al cuor di Benedò.

Se lo scritto mi tradisce

c'è l'oral, che mi rapisce

in un vortice di vuoto

che propende verso un voto

che, leggero come piuma,

sale, sale, nella bruma,

cresce, cresce su se stesso

fino a perdere ogni nesso

con la solida realtà.

Pur se misero è il mio eloquio,

me la cavo nel colloquio,

perché nella commissione

ho un sostegno d'eccezione

(proprio d'eccezione, no:

non è solo, Benedò!).

Le parole non son pietre,

son piuttosto vesti tetre

vesti come d'Arlecchino,

che nascondono un inchino

fatto, non si sa perché,

tra il colloquio ed il caffè.

Spingi, spingi, arranca arranca,

d'aiutare non si stanca;

con un voto, immantinente,

trae dal nulla un sufficiente

che, in virtù del suo perdono,

presto si trasforma in buono.

Ecco, in men che non si dica,

terminata è la fatica;

ma sparisca quella pecca:

suonerebbe come stecca

in quell'armonia divina

realizzata stamattina.

Alle fulgide carriere

non s'oppongon più barriere;

con un poco di fortuna

io, colmando ogni lacuna,

fino al Nobel giungerò

grazie al cuor di Benedò.

Grande, grande è questo cuore,

distribuisce con amore

e offre a tutti, con gran cura,

per combatter la calura,

del gelato a profusione

che esce dal suo pentolone.

Certo, buona è l'intenzione,

e apprezzabile l'azione;

non è ancora qui, però,

il prodigio Benedò.

Di continuo, tale e quale,

e in misura sempre uguale,

fuoriesce quella manna

come fosse della panna,

senza mai diminuire,

senza il rischio di finire:

è un processo senza nodi,

è il paese di Bengodi;

 

 

qui ciascuno beve e magna:

è il paese di Cuccagna.

Lui ogni tanto si analizza:

la bontà lui la teorizza:

«No, no, i prof. non son gentili,

se agli alunni sono ostili.

Certo è un uomo senza cuore,

che non sa cos'è l'amore,

chi mi guasta questa festa,

trasformando in gente mesta

una turba di beati

gai, felici e fortunati.

Proprio gente senza cuore,

che non sa cos'è l'amore!»

Però a volte lui si sente,

assai generosamente,

di attenuar l'affermazione,

per fuggir la presunzione:

questa gente è sì in errore,

ma non proprio senza cuore.

Proprio senza cuore, no:

senza il cuor di Benedò!

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