La mia famiglia, tutta la mia
famiglia, è sempre stata pervasa da un irriducibile spirito green.
Esistesse l’equivalente
dell’anello di re Salomone per comunicare col regno vegetale, i miei non se ne sarebbero
fatti granché: le piante già obbediscono al loro volere con una condiscendenza
spontanea, entusiastica.
Mia madre Elena è riuscita a
convincere una violetta africana a rifiorire in casa. Cosa non da poco,
abitavamo a cinque chilometri dal confine svizzero e una volta le stagioni
facevano sul serio, per non parlare dell’austerity che segnava in quegli anni
la società italiana.
A dispetto degli spifferi, abbiamo
sempre avuto il soggiorno pieno di splendide piante in ottima forma. Con la
bella stagione, Mamma mi coinvolgeva in estenuanti sedute di rinvaso sul
balcone di casa. Cercava con la condivisione e l’esempio di trasmettermi una
passione per cui ero e resto una negata irrecuperabile.
Anche mio padre fece dei
tentativi: comprò un pezzetto di bosco, ne ricavò un orto dove spendere la
maggior parte del fine settimana e mi trascinò con sé regolarmente, nella
speranza che fra una zappata e l’altra entrasse nella testa qualche concetto. Il
risultato? Lui scaricava lo stress sarchiando e potando, io vagavo come
Cappuccetto rosso cogliendo fiori e fragole selvatiche. Rassegnato alla mia svagata
indifferenza, l’unico contributo richiesto diventò andare a riempirgli l’innaffiatoio
ogni tanto; si era industriato a mettere in piedi un capanno di lamiera e là
c’era il colossale serbatoio blu da cui attingere acqua.
Tornavamo a casa felici, lui con
la sua raccolta di zucchine e pomodori e io strozzando fra le piccole mani
sudaticce fasci interi di garofanini del poeta e sacchetti pieni di
fragoline che si potevano mangiare seduta stante, senza nemmeno sciacquarle.
Anche se con me è andata male, i
miei sono stati ricompensati.
Tutto il loro pollice verde si è
riversato in mia sorella maggiore. Concentrato e potenziato.
Mia sorella Marianna è nata per
il giardinaggio.
Non è solo “dotata”, le piace
davvero. È sempre stata lei il braccio destro di mia madre, per lei i miei
facevano arrivare per posta il catalogo della Stassen dalle meravigliose
illustrazioni che ci facevano sognare tutti a occhi aperti.
Quando si è sposata, appena possibile
lei e Giovanni si sono trasferiti in una casa con giardino. Mio cognato anziché
fiori recisi nelle occasioni speciali le regala la pianta direttamente.
Nell’angolo a sinistra del cancello, per esempio, hanno una mimosa ormai
monumentale.
Narra la leggenda – scherzo, è
tutto vero – che un giorno mia sorella, affacciata alla finestra del secondo
piano della sua bifamiliare, stesse mangiando una prugna. A un certo punto,
trovandosi col nocciolino in bocca dev’essersi detta beh dai, tanto è biodegradabile…
E ptù l’ha sputato di sotto.
Credo sia stata qualche proprietà
contenuta nella sua saliva, sta di fatto che poche settimane dopo si sono
accorti che era spuntata una piantina in centro al giardino. L’hanno circondata
con una protezione perché non finisse travolta dall’entusiasmo di Lola, il loro
cane lupo.
C’è bisogno che lo dica? In capo
a qualche anno avevano sotto casa un prugno varietà goccia d’oro alto più
di me. Quando si dice essere portati.
È chiaro che una come mia sorella
non poteva che frequentare gente al suo stesso livello. La sua migliore amica,
anch’essa con giardino da fiaba, era arcinota nei dintorni come esperta di Bonsai.
Ne aveva decine e decine, chi era in difficoltà le portava la pianta da curare
da ogni dove. Vederla all’opera con un Bonsai avrebbe intimidito anche il
Maestro Miyagi di The Karate Kid.
Giulia, l’altra mia sorella, non
raggiunge i livelli stratosferici di Marianna però se la cava bene. Nessun
caduto ferito o disperso: nemmeno al ritorno dalle ferie la situazione le è mai
sfuggita di mano.
Il talento di famiglia è andato
scemando, figlia dopo figlia.
Io? Io sono il disonore del
casato.
Conoscete la Tillandsia?
Se non ne avete mai sentito
parlare, potete googlare la voce “figlia del vento”.
È una pianta sudamericana infestante,
vive d’aria, non ha radici, non le serve terriccio.
Cresce anche sui pali della luce.
A me è morta.
Nel corso del tempo mi sono
incaponita, ho tentato e ritentato. In uno scatto di rivolta e cieca presunzione
mi son lanciata persino nell’impresa impossibile: la camelia.
Difficile da trattare, mi avevano
detto.
Ma non credevo che difficile
volesse dire “basta stortare il vaso di 15 gradi e cominciano a cadere tutti i
fiori”. Ho abbassato la cresta, son passata ai gerani. Parigini e non.
Sbranati dai bruchi, tutta un’estate
a spiaccicare le bestioline.
Infine è stata la volta delle
piante grasse mignon.
Le uniche a non soccombere. Stavano
in una ciotola di cristallo in bagno, erano il mio vanto, il mio riscatto.
Le avevo acquistate dopo amorevole,
accuratissima scelta.
Un giorno una mia amica esce dal
bagno e mi fa “Che meraviglia le tue piantine grasse, dove le hai prese?” “All’Ikea,
perché?” ribatto compiaciuta.
“No, davvero! Bellissime, sembrano
vere!”
“Sono vere!” E avvampo, in preda
a un atroce presentimento.
Con velato sadismo mi tira per
una manica e mi trascina in bagno.
Senza pietà me le fa ispezionare
una a una, fra agghiaccianti sperimentazioni.
Facciamo la prova pungiglione e le
spine non pungono per un cactus.
Quelle barbute hanno la plastica sericità
dei capelli della Barbie, con mio imbarazzato stupore.
Un’umiliazione inaudita. Credevo
che solo i fiorellini fucsia e gialli fossero finti, appiccicati lì a bella
posta! Per mesi ho tenuto idratata una messa in scena.
Quando mi sono sfogata con mio
marito devo avergli fatto davvero pena, per rincuorarmi esce dicendo che
tornerà “con una sorpresa”.
Tutto speranzoso, rientra porgendo
un coloratissimo mazzo di fiori con un gran sorriso.
M’è mancato il coraggio di dirglielo…
… È che crescendo coi miei dai e
dai la teoria m’è entrata in testa.
Quelle sembravano
margherite, è vero, sì. Però erano una varietà di crisantemi!
Patrizia Birtolo
20833 Giussano (MB)
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