UN PALATO SEMPLICE (Palinodia)
(“Errai, chef e gourmet!”)
Caso mirabile,
imprevedibile,
oggi mi capita
sì, proprio qui:
esser discepolo
della più nobile,
lieta combriccola
del mezzodì.
Stupito, in estasi,
tra tanti interpreti
d’una finissima
gastronomia
che, destri, trattano
ricette e pentole
con invidiabile, rara maestria,
quasi trasecolo
per l’ineffabile
splendido scibile
che m’incantò
e, ringraziandovi,
la mia inflessibile
palinodia
or v’offrirò.
Se ambrosia e nettare
semplici viveri
a me sembrarono,
in verità,
vivande utili,
da ingoiar subito
con istantanea
celerità,
a queste nobili
e dotte dispute
il mio carattere
s’ingentilì:
a gusti facili
e discutibili
s’impose insolita
“sensiblerie”.
Certo a distinguere
mai, mai fui abile:
mosso da rustica
voracità,
tutto l’edibile
trovai accettabile,
solo escludendone
il baccalà.
Ora, con trepida
sollecitudine,
i vostri fulmini
affronterò
e inconfessabili
colpe e punibili
qui, “coram populo”,
rivelerò.
Più “divorabile”,
che “degustabile”,
il commestibile
apparve a me,
ingerii impavido
l’indigeribile
con modi ruvidi,
incolti, ahimè!
Inginocchiandomi,
venia chiedendovi
per innegabile
lesa maestà,
per fatti espliciti,
inoppugnabili,
certi, che offendono
la qualità,
ammetto umile
l’inammissibile
uso di eccedere
in quantità,
riconoscendomi
incauto e debole,
per una simile
enormità.
Fu errore ignobile,
imperdonabile,
quel che (incredibile!)
spesso macchiò
mio agire semplice,
inconsapevole,
degno d’un pargolo,
sì, sì, lo so!
Grana passabile,
moscio e friabile,
Camembert candido
sopravanzò
e vino nobile
brillante, nitido,
con Coca torbida
non la spuntò.
Dacché, evolvendomi,
io volli rompere
col Tavernello
per il Bordeaux,
d’innumerevoli
vini pregevoli
fan fedelissimo
sono e sarò.
Ma io fermandomi
alla sua immagine
guardavo il vivido
rosso liquor,
voi addentrandovi
nella sua anima,
vibranti, fervidi
di sacro ardor.
Mai pIù allo splendido
nettare bacchico
con fatuo animo
m’accosterò,
qualificandolo
“buono”, o anche “ottimo”,
“discreto”, “valido”;
no, no, dirò:
“amico”, “timido”,
“flessuoso”, “morbido”,
“pugnace”, “intrepido”
o, perché no?
“ostile”, “ostico”,
ma poi “arrendevole”,
“con quel femmineo
gusto retrò”.
Non meno insipido,
gramo, fallibile,
risultò l’esito
che mi toccò
quando la fregola
d’esser gastronomo,
a piatti e pentole
m’avvicinò.
Forse illudendomi
d’esser idoneo,
estemporaneo
cuoco gourmet,
con prove equivoche,
goffe, ridicole,
resi immangiabile
pure il puré,
o, teso al compito
che la mia coniuge
pensò affidabile
persino a me,
sventato, inabile,
con far risibile,
stimai “bollibile”
nell’acqua il tè.
Or, congedandomi,
grazie rendendovi,
radiose fiaccole
d’urbanità,
un chiaro simbolo
di simpatetica,
forte e durevole
affinità
sia questo brindisi:
“Se un che d’ironico
dalla mia predica
affiorerà,
s’alzino i gomiti
ed ogni acredine
l’amato Dioniso
discioglierà”.
Interessante - gradevole e "profonda"
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