L ’
A L T R A
S C A R P A
Non aveva mai avuto scarpe, Lorenzo. Solo zoccoli di legno,
che suo padre gli faceva su misura man mano che cresceva.
Vivevano in nove in una cascina di
proprietà del conte Moroni, al centro di una proprietà oltre le Muraine, tra
Porta Osio e Porta Broseta. Papà faceva il contadino, curava i campi e il
frutteto con l’aiuto di un bracciante. Avevano anche la stalla con una decina
di vacche.
Erano sette figli in casa, quattro maschi e tre femmine, Lorenzo era il
più grande. Il papà ogni mese preparava un sacco con uova e formaggi da portare
al signor Conte, nel palazzo in Città Alta, e lo affidava a Lorenzo. Era stato
ben contento di farsi sostituire in quella mansione dal figlio, appena aveva
avuto l’età della ragione, perché le guardie del dazio a Porta Osio erano
indulgenti con un bambino e lo lasciavano passare senza ispezionare il sacco.
Per Lorenzo era un piacere, una piccola vacanza, se non fosse stato per il
carico a volte troppo pesante per le spalle di un bimbo di dieci anni. Gli
piaceva la salita in Città, con i palazzi nobiliari, le chiese e i sontuosi
edifici pubblici, le botteghe e i commerci, e la gente indaffarata che si
aggirava per le vie. Alla consegna della merce, su incarico del conte la
servetta gli dava due lire di mancia e a compenso del dazio, che pure non aveva
pagato. Non erano soldi che poteva tenere per sé, quando tornava a casa avrebbe
dovuto subire l’interrogatorio del papà, sospettoso che si fosse trattenuto
qualche centesimo o che l’avesse speso in un panino dal fornaio di Borgo San
Leonardo. Tuttavia si sentiva orgoglioso di partecipare al bilancio familiare,
ed era pur sempre una giornata speciale: c’era un po’ di tempo, al ritorno, di
salire per Porta Dipinta e fare un salto in Piazza Vecchia. Era attirato dalla
gente elegante che passeggiava o sedeva nell’antico Caffè del Tasso, con le sue
paste alla crema che erano una tentazione del diavolo. Poi, scendendo e se il
tempo era favorevole, gli piaceva passare dalla Fiera, uscire di Città al
Portello delle Grazie e con un lungo giro tornare a Porta Osio.
Lorenzo stava crescendo, sugli stinchi e giù sotto cominciava a
crescergli una peluria bruna che minacciava la sua libertà. L’anno prossimo il
papà gli avrebbe chiesto di aiutarlo nei lavori dei campi, e il compito di
consegnare i formaggi e le uova sarebbe passato a Giuseppina, la secondogenita.
Quel giorno Lorenzo vide da tanti segni che era arrivata la primavera. I
fossi e gli stagni erano tutti festonati di uova di rospo e le prime farfalle,
estenuate e sbiadite dall’inverno, intrecciavano incerti voli tra l’erba nuova.
La lavandaie cantavano ai bordi delle rogge e stendevano i bucati a profumarsi
ed ad asciugare sui prati, allegra risposta candida ai fiori colorati che li
punteggiavano.
Aveva passato senza problemi il dazio. Dopo aver consegnato le uova e i
formaggi e aver fatto il solito giretto per Città alta, era sceso in Città
bassa e, uscito dalle Muraine, era adesso alla stazione del tram a vapore per
Monza. Lo chiamavano Gamba de lègn’
ed era molto popolare ed economico.
Una locomotiva sbuffante era ferma sul
binario, pronta a partire. Trainava due carrozze, una di prima e una di
seconda.
Lorenzo sapeva leggere un poco e a
fatica decifrò i cartelli che erano appesi sotto la pensilina. Uno portava
l’intestazione Prezzi e diceva: Prima classe 75 centesimi - Seconda classe
45 centesimi. ‘Perbacco’, pensò. ‘Con i soldi che ho in tasca potremmo
andare io e Giuseppina fino a Monza, tornare indietro e ci starebbero anche due
panini da un soldo a testa!’
C’erano poi una serie di cartelli che
iniziavano con È VIETATO! Uno diceva
che era vietato sputare: come avrebbe fatto papà che sputava ogni volta che
impugnava la zappa? Un altro cartello ammoniva di non salire o scendere dal
tram in moto. ‘In moto?’, allibì Lorenzo. ‘Che c’entrano le motociclette con i
tram?’ Un altro cartello infine era piuttosto lungo: È vietato allungare i propri calzari sui sedili anche in prima classe e
in presenza di signore. Anche questo era abbastanza equivoco. Lorenzo lo
rilesse due volte e ci ragionò sopra così: ‘Se uno, come me ha solo gli
zoccoli’, si chiese, ‘può allungare i piedi nudi sul sedile di fronte, sempre
che non sia presente una signora?’
Mentre rifletteva su questo
problematico dilemma, uno zoccolo gli si aprì in due sotto il piede, che quasi
cadeva. Sedette per terra in un angolo ad esaminare il danno. Niente da fare:
si era spaccato per il lungo e la fascia di cuoio pendeva da una delle metà.
Sarebbe dovuto tornare a casa zoppicando con uno zoccolo solo. Il papà si
sarebbe seccato: è vero che gli erano ormai stretti e aveva detto che gliene
avrebbe fabbricato un altro paio la prossima domenica, ma i suoi erano
destinati a Giuseppina. Così invece il papà avrebbe dovuto farne due paia,
domenica.
Lorenzo alzò lo sguardo e rimase
sorpreso. In un istante la stazione s’era riempita di gente. Si capisce che il
tram stava per partire. C’era una piccola coda davanti allo sportello della
biglietteria e molti altri viaggiatori si affollavano davanti alle porte dei
vagoni per salire ed occupare i posti a sedere. Aveva sentito parlare di una
Fiera importante che si apriva a Milano in quei giorni, e della quantità
eccezionale di visitatori che vi si recava, anche da Bergamo.
Udì un vocione tonante:
-
Da questa parte, signora.
Un facchino avanzava lungo il binario spingendo una carretta con sopra
una grossa valigia e una cappelliera di cuoio verde. Dietro veniva un’elegante
signora con in testa un cappello grande come la polenta di Natale e un vestito azzurro che la fasciava fino ai
piedi e le metteva in evidenza il sedere. Per mano aveva un bambino dell’età di
Lorenzo, vestito come un principino: calzoni corti al ginocchio, giacchetta con
martingala di panno blu con una specie di fazzoletto appoggiato mollemente
sulle spalle e trattenuto da un nodo sul petto, calzettoni di lana blu, e
soprattutto, un paio di magnifiche scarpe di cuoio grasso, nere, lucidissime,
alte fino alla caviglia.
-
Sbrigati Umberto, che perdiamo il tram!, disse la signora.
Il principino si chiamava Umberto, come il re. Quando i tre gli
passarono davanti sentì un scricchiolio ad ogni suo passo: le scarpe di cuoio
parlavano! Come un cane al guinzaglio è felice di essere portato a passeggio
dal padrone, così loro raccontavano il piacere di essere indossate, di
camminare assieme al proprietario, di essere tutt’uno coi suoi piedi che
avvolgevano perfettamente.
Non aveva mai visto un paio di scarpe
così eleganti ai piedi di un bambino come lui. Chissà come dovevano essere
comode, e calde, d’inverno. Forse con quelle avrebbe evitato i geloni. Però se
fossero state sue, i giorni della settimana avrebbe continuato a mettere gli
zoccoli e le avrebbe messe solo la domenica, per non rovinarle. Sarebbe entrato
dalla porta principale mentre l’organo suonava, lo scricchiolio avrebbe
superato la musica, e passando per la navata principale gli amici si sarebbero
girati per vedere chi si avvicinava senza fare il co-cloc del passo zoccolato.
Intanto i tre erano arrivati allo sportello della prima classe. C’era
una calca indescrivibile.
-
Si affrettino signori, che tra un minuto si parte!, diceva un ferroviere dal cappello
rosso.
Il facchino col suo vocione e spingendo il carretto si faceva largo tra
i viaggiatori:
-
Permesso! Largo!
La signora seguiva, tenendo sempre per mano il bambino e con un
fazzoletto al naso, perché l’odore della gente attorno le dava fastidio. Il
facchino mostrò i biglietti al controllore, salì e sistemò i bagagli. Intanto
il controllore si affannava a dire:
-
Prima le donne e i bambini!
E cercava di far avanzare la signora assieme a tre servette che
probabilmente stavano andando a servizio
presso qualche famiglia ricca di Milano o Monza.
La locomotiva sbuffava, si capiva che
era impaziente di partire. Il fumo grasso di carbone usciva dal fumaiolo e
ricadeva sulla pensilina. Il facchino tornò allo sportello, e, mentre la ressa
era diventata furiosa nonostante gli sforzi del controllore, porse la mano alla
signora. La mamma si alzò vezzosa un lembo del vestito, e salì un gradino
affidando momentaneamente il bambino al facchino. Spinto dalla folla, pressato
da ogni parte e tirato su dalla manona del facchino, il principino non salì ma
fu trascinato sul tram. Un piede gli si incastrò tra un gradino e l’altro, una
scarpa gli scivolò via dal piede e cadde sul marciapiede. Nessuno nella calca
ci fece caso, il bimbo gridò Mamma…
ma il suo grido fu coperto dal campanaccio suonato del ferroviere dal cappello
rosso. Il tram partì mentre un ultimo signore si aggrappava al corrimano e
saliva al volo. Il ferroviere chiuse con un colpo secco lo sportello.
Lorenzo aveva visto cadere la scarpa e a piedi nudi corse al binario. La
afferrò e si mise a inseguire il tram che, stava man mano accelerando. Vedeva
Umberto affacciato al finestrino col braccio teso. Lo stava guardando con gli
occhi spalancati, muoveva le labbra. Lorenzo non capì cosa stava dicendo, ma
intuì che lo stava incitando a fare presto. Dietro s’intravedeva la mamma che
lo tratteneva mentre si sporgeva sempre più.
Lorenzo
pareva guadagnasse terreno, il finestrino si avvicinava, ma dopo uno scambio il
tram accelerò e contemporaneamente la pensilina finì. Impossibile tenere dietro
a piedi nudi sulla strada bianca di Porta Osio. Lorenzo si fermò ansante e alzò
il braccio che teneva la scarpa. Vide la delusione sul viso di Umberto, ma
subito il suo viso sparì dalla vista, per riapparire un attimo dopo al
finestrino. Aveva in mano l’altra scarpa. La gettò sulla strada con un gesto
ampio del braccio, che poi alzò in segno di saluto.
Anche
Lorenzo alzò e agitò la mano. Fece appena in tempo a scorgere il sorriso del
principino prima che uno sbuffo di fumo nero carico di scintille lo nascondesse
ai suoi occhi.
Finita la lettera, affamato ed
esausto, Jakob fece cena con un paio di mosche che conservava in frigorifero.
Poco più tardi, quando anche la
famiglia del signor Keller ebbe mangiato i cibi custoditi in frigo (ma non si
trattava di mosche), il piccolo Hans, figlio del signor Nicolas, si avvicinò al
padre, che era di nuovo seduto nel soggiorno.
Ed il signor Keller che, come voi
e me, non si ricordava a memoria il seno di 72°, aveva casualmente riaperto il
giornale a pagina 8.
Il figlioletto, alla vista dello
strano disegno che illustrava il sondaggio elettorale, esclamò:
“Che bello!!”
Al che il padre, distrattamente,
rispose:
“E' un diagramma di Kiviat, dal
nome di uno dei suoi inventori. E' noto anche come diagramma radar, grafico a
stella o grafico polare”
“Ma papà, non è un radar! E' una
ragnatela”
“Beh, sì.... hai ragione; a volte
lo chiamano anche diagramma ragno o grafico ragnatela”.
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