sabato 25 luglio 2020

Prosa segnalata 2020 Alessandra Forlani Bussana Vecchia


Bussana vecchia.
Alice si fermò un istante per asciugarsi la fronte. Il sole arrabbiato di Ferragosto la riscaldava tutta, provocandole rivoli di sudore che, colando dalla fronte, scendevano al collo e giù sulla pelle serica, nella curva fra i seni. Nonostante gli sforzi per renderla almeno color ambra, anche d’estate la sua pelle riluceva come pallida porcellana. Alice non era consapevole del proprio fascino e non si era mai guardata con gli occhi di un uomo, perlomeno non lo aveva più fatto da moltissimo tempo. A trentadue anni poteva ancora passare tranquillamente per una ragazzina, con i lunghi capelli ramati e gli occhi grigi dalle sfumature cangianti. Il fruscio della gonna nera guarnita di sangallo bianco le avvolgeva le lunghe gambe snelle, fino a sfiorarle le caviglie, accompagnandola ad ogni suo passo, ad ogni scalino, su verso la cima, nel silenzio quasi irreale di quella mattinata festiva. Il villaggio arroccato nell’entroterra ligure era ancora esattamente come lei lo ricordava, come lo aveva visto l’ultima volta, dieci anni prima. L’ultima volta che aveva visto Louis.
Le case diroccate, abbarbicate sulla roccia si stagliavano contro il blu del cielo, donandone un’immagine dolce e struggente al tempo stesso; la giovane donna ferma sull’ultimo scalino sembrava far parte di un dipinto. I capelli rossi, lunghi e ribelli, nonostante lei cercasse di domarli costringendoli in due grosse trecce, le incorniciavano gli occhi grigi con morbidi riccioli che sfuggivano dall’elastico variopinto. La camicetta bianca di seta indiana, scollata sul davanti, avrebbe inteso lasciar vedere parte del generoso decolleté se questo non fosse stato quasi del tutto celato da un monile di turchese a forma di stella, incastonato in una struttura di ferro brunito. Quella collana era stato l’ultimo dono di Louis ad Alice e lei non la toglieva mai, neppure quando il lavoro le imponeva di indossare la maschera della donna in carriera. La stella di Louis faceva parte di lei come le gambe o le braccia e mai se ne sarebbe separata. Alice stava stringendo il monile fra le dita, come faceva spesso quando le capitava di ripensare a lui e sentì che le lacrime, liberatorie, stavano arrivando. Una brezza leggera iniziò ad accarezzarla mentre il fruscio della veste, unito al tintinnio dei campanelli appesi alle porte delle case – gli acchiappasogni - creava una musica dolce e lenta. Quel suono accompagnava Alice nel suo cammino a ritroso nel tempo, dentro ad un sogno che si dipanava come una matassa di fronte ai suoi occhi, oltre l’orizzonte. Risentì la voce di Louis, calda e profonda, che le parlava sempre come se la stesse accarezzando. «Questo paese, è una fenice che risorge dalle proprie ceneri, fu raso al suolo da un catastrofico terremoto alla fine del 1800 ed abbandonato per molti anni. Il nuovo villaggio fu ricostruito più a valle, poi nei primi anni ‘60, un gruppo di artisti ribelli ed arrabbiati, riscoprì questo borgo, eleggendolo a quartier generale. Fecero tutto in autonomia: ristrutturando, imbiancando ed arrangiandosi come meglio potevano per portare acqua e luce. Ora ogni casa diroccata è la dimora di qualcuno di noi: chi dipinge, chi modella la creta, chi tesse e chi come me, crea monili e gioielli poveri, ma che arricchiscono la bellezza di chi li sa portare, come te. Qui ognuno di noi può essere se stesso, sentirsi libero, esprimere la propria essenza. In questo posto non esistono barriere politiche né religiose, sono i valori dell’amicizia e della fratellanza che sanciscono tacitamente un legame fra chi decide di vivere qui, che sia per sempre o per un’ora soltanto». Louis l’aveva condotta lì per mano, pochi mesi dopo l’inizio della loro relazione; si erano conosciuti ad un mercatino dell’usato, una sera d’Agosto ed in pochissimo tempo erano diventati quasi inseparabili. Louis, che l’aveva stregata come nessun uomo aveva mai fatto prima e nessuno sarebbe riuscito a fare dopo: alto, dinoccolato con un modo di fare l’amore che l’aveva lasciata sconvolta dalla felicità. Prima di lui aveva avuto altre storie ma nessuno, mai, aveva dimostrato tanta sensibilità nei suoi confronti, attento più a lei che a se stesso.
Con lui era stato subito desiderio, tanto intenso da farla stare male. Alice non si era vergognata di quella passione e l’aveva vissuta intensamente; quel giorno, dieci anni dopo la fine della loro storia, era tornata lì a cercare dentro di sé la conferma che lui se ne fosse davvero andato, non solo dall’Italia ma anche e soprattutto dal suo cuore. Il sole aveva lasciato il posto a grigie nuvole che promettevano un incombente temporale, il tempo in Liguria può cambiare repentinamente e così una magnifica giornata di sole si trasforma nel teatro in cui la natura mette in scena gli atti della sua commedia. L’ultimo atto, in genere è un acquazzone furioso che si esaurisce nel giro di qualche ora, lasciando in regalo un arcobaleno di rara beltà. I primi goccioloni cominciarono a cadere con un tonfo sordo iniziale che si trasformò subito in un ticchettio sui tetti di pietra e di lamiera; improvvisamente il paese che le era parso deserto, si animò di vita propria.
Gruppetti di persone cominciarono a correre fra i muri spaccati dalle ferite della terra ed a gridare frasi smozzicate in almeno cinque lingue diverse. “Chissà dove stavano nascoste prima tutte queste persone” pensò Alice, sentendosi strappare con violenza ai propri ricordi ed a Louis. Stava correndo anche lei, discendendo veloce la scalinata che aveva percorso poco prima in senso inverso, quando una mano, sbucata da una porticina di ferro, seminascosta da un porticato in pietra, l’afferrò saldamente e la trascinò all’interno. Nella stanza, il fumo denso di un fuoco che ardeva nel camino le invase le narici, ma un altro odore, tanto più forte quanto evocativo di un ricordo, la sconvolse.
Non fece in tempo a guardare in viso la persona cui dovevano appartenere quelle mani e quel profumo; un bacio urgente, violento, la travolse e si ritrovò stretta fra le braccia di Louis.
La sua barba, ancora più folta di quanto lei la ricordasse le solleticava le labbra in quel modo dolorosamente familiare. Improvvise le lacrime irruppero dentro a quell’istante e sulle labbra di entrambi giunse il sapore salato di un amore mai spento. Dopo, nel tepore del fuoco che rallegrava il laboratorio dove Louis lavorava alle sue creazioni, Alice - raggomitolata accanto all’uomo che ancora non riusciva a guardare senza chiedersi se fosse sogno o realtà - gli parlò: «Louis… sei qui! Sei sempre stato qui non è vero?» «Si». Il silenzio che seguì alla risposta di lui fu un istante dilatato mille volte nel tempo di un respiro, fino a quando lei riuscì a parlare di nuovo: «Ma perché? Non capisco. Io ero venuta qui a dirti che volevo te, solo te, che avrei lasciato la famiglia, l’Università, che avrei voluto vivere qui con te. Potevo farlo, potevo scrivere da qui. Tu lo sapevi vero? E’ per questo che, prima che io potessi metterti a parte dei miei progetti, mi hai preceduta con la tua mazzata. Mi hai detto che saresti partito e mi hai lasciata qui a piangere: sono dieci anni che piango lo sai Louis: dieci anni! Perché? Lo devo sapere ora».
«Perché ti amavo Alice e ti amo ancora, forse più di allora. Sono orgoglioso della donna che sei diventata e della vita che ti sei creata. Con me, Stella – così la chiamava nei momenti di intimità – non avresti avuto alcuna chance. Guardati oggi. Sei una giornalista importante, a soli trentadue anni, una donna splendida, che scrive in maniera acuta ed intelligente, che trasmette emozioni ai suoi lettori. Ti seguo sai? Da sempre. Sono il tuo più grande fan, lo sai questo vero Stella?».
Alice non rispose, stava guardando in quegli occhi, in quel pozzo profondo del colore degli alberi in autunno, quando cadono le ultime foglie. Stava sfiorando con le dita la piccola cicatrice sul viso di lui proprio sullo zigomo sinistro, appena visibile sotto all’occhio; era un gesto che aveva compiuto spesso, durante i mesi del loro amore. Le piaceva immensamente, prima di baciarlo, tenere il suo viso stretto fra le mani, passargli le dita fra i capelli, sulla fronte, sul naso, giocare con lui per vedere chi dei due reggesse più a lungo lo sguardo dell’altro. Era venuta a Bussana Vecchia per annegare le proprie lacrime nel mare che si stagliava all’orizzonte, lassù dall’altipiano dove sorgeva l’antica chiesa; pensava – perché gli aveva creduto in quella notte di Aprile di dieci anni prima – che lui fosse lontano, che vivesse ormai in America, magari guadagnandosi da vivere con le sue creazioni. Invece lui era lì, non si era mai allontanato da quel paese fantasma dove lei, al contrario, non aveva avuto il coraggio di tornare per paura di ritrovarsi da sola con i propri rimpianti. Quante volte aveva pensato che, se avesse insistito, forse lui avrebbe acconsentito a portarla con sé; aveva immaginato come sarebbe stata la propria vita al fianco di quell’uomo che amava con tutta se stessa e che – di questo era certa da sempre – l’adorava a sua volta. Nel corso degli anni aveva avuto altre piccole storie, ma il cuore non era mai entrato in gioco, quello lei lo aveva regalato a Louis ed ora, al suo posto, nell’incavo del suo petto, c’era soltanto il buio, un buco nero privo di sensazioni sensoriali. Le era capitato di desiderare di sentire il suo profumo, un misto di fragranze muschiate e tabacco da pipa, ma non era mai riuscita a ricrearlo nella propria mente. Adesso mentre lo guardava negli occhi, tutti i sensi accesi, in attesa, non le importava nemmeno di sapere se davvero lui l’amasse ancora. Lei lo voleva con tutta se stessa e glielo fece capire. Lo baciò con la passione sopita per tanto tempo, con un’audacia che da ragazza non aveva posseduto mentre gli sussurrava frasi scomposte, dai suoni disarticolati, in una lingua che entrambi avevano conosciuto bene in un’altra vita, dieci anni prima. Louis fece all’amore con lei con una delicatezza insolita, quasi timoroso di rovinare quella pelle di porcellana, giocherellando con i suoi capelli, che aveva sciolto dall’elastico e che ora ricadevano ribelli sul petto di Alice. Le aveva sempre detto che andava pazzo per la sua chioma rossa, sostenendo che non avrebbe dovuto imbrigliarla; come lei, i suoi capelli dovevano restare liberi, ribelli e selvaggi, affinché la sua vera natura potesse affiorare completamente. Louis avrebbe dato qualunque cosa pur di dividere la sua vita con Alice, ma era un uomo molto intelligente, dotato di una sensibilità particolare, dovuta probabilmente al suo talento artistico. Sapeva bene che la donna che amava non avrebbe mai ottenuto il riconoscimento del pubblico con i suoi scritti se si fosse ritirata a Bussana insieme a lui. Nel giro di un paio d’anni avrebbero avuto due o tre bambini ed Alice avrebbe tralasciato le sue ambizioni per dedicarsi a loro, finendo poi per odiare quella vita ed infine lui stesso. Quest’idea gli faceva male al solo pensiero. Ad occhi chiusi poteva immaginare due bimbette con le lentiggini e le trecce rosse giocare a settimana sull’acciottolato del paese, proprio fuori dal negozio di gelati gestito da Ingrid, la sua amica svedese. Il cioccolato avrebbe imbrattato i vestitini celesti delle bimbe, lasciando uno sbaffo sulle loro labbra. Le piccole, ilari, sarebbero allora corse in casa gridando: «Papà! Guarda, ci sono cresciuti i baffi… come te!».
Louis la strinse più forte nel suo abbraccio, lasciando aderire il suo corpo a quello di lei in maniera totale. Alice era lì, nonostante lui l’avesse scacciata dalla sua vita per regalarle il futuro che meritava e a cui sarebbe stata pronta a rinunciare per amore suo. Aveva letto tutto quanto era stato pubblicato - da e su di lei - e le critiche - a volte positive, altre meno - sulle sue opere. Quando aveva saputo che si trovava in Africa per un reportage sulla situazione delle donne affette dal virus dell’AIDS aveva temuto per l’ incolumità di lei. Ogni giorno si collegava attraverso Internet a tutte le fonti che avrebbero potuto fornirgli notizie e fotografie; ne aveva a centinaia: tutte immagini di Alice, alcune – le più belle – erano poste all’interno di cornici di ferro battuto che Louis aveva creato appositamente per esaltare la bellezza del soggetto. Lavorava e lei era là con lui, lo guardava di sottecchi e gli sorrideva. Alice non aveva mai saputo che, ogni scatto che la stampa le tributava ed ogni obbiettivo a cui lei sorrideva, erano in realtà un regalo che stava inviando a Louis, per farlo sentire un po’ meno solo. Anche lui aveva avuto tante storie durante quel decennio, alcune durature. Mary, una ragazza irlandese che dipingeva magnifici arazzi, aveva vissuto con lui per due anni ma infine se n’era andata perché non sopportava di avere accanto un uomo che, nel guardarla vedeva in realtà un’altra donna. In quel periodo aveva una mezza storia con Ingrid, la svedese che aveva in gestione la bio-gelateria; bella e statuaria, si era trasferita in paese l’estate precedente con la sorella la quale però aveva lasciato tutto dopo soli due mesi, accortasi che quella vita non faceva per lei. Louis ed Ingrid passavano parecchio tempo insieme, pranzavano sotto al pergolato davanti al laboratorio di lui e disputavano lunghe discussioni filosofiche, davanti al mare, sotto ad un cielo denso di stelle. Spesso quelle serate si concludevano a letto, ma entrambi erano consapevoli di come si trattasse soltanto di compagnia reciproca, non d’amore. Quando Louis aveva visto Alice salire la scalinata che conduce alla chiesa, si trovava appunto insieme ad Ingrid; stavano bevendo un bicchierino di sherry, chiacchierando delle opportunità per gli artisti di vendere qualcosa in quella giornata di Ferragosto. La mano che reggeva il bicchiere gli era rimasta sollevata a mezz’aria ed il suo viso aveva assunto un’espressione di stupore prima e di gioia intensa, subito dopo. Dalla luce che era comparsa nei suoi occhi, Ingrid capì immediatamente – anche se ne poteva scorgere soltanto la schiena ed i capelli – che quella donna era Alice. La donna dei sogni di Louis, quella che lo faceva sorridere nel sonno, mentre lei stava sveglia al suo fianco, desiderando d’essere amata così da qualcuno.
Come due naufraghi dopo la tempesta, una sola anima in due corpi distinti, si assopirono abbracciati, davanti al camino. Fu infine Alice ad aprire gli occhi e per un istante si chiese dove fosse finita. Sentiva intorno a sé l’odore acre di un fuoco spento e nelle ossa una sensazione di torpore piacevole, che saliva fino ai muscoli ed alle terminazioni nervose. Si voltò ed incontrò il viso di Louis, che l’abbracciava nel sonno e – di nuovo - credette di sognare. Lui stava ancora dormendo e l’espressione del volto contrastava con quella che di solito amava dare agli altri di se stesso; pareva un bambino riaddormentatosi dopo il primo pasto del mattino, avvolto e cullato dalla calda sicurezza dell’abbraccio materno. Alice si ravvivò i capelli, sistemò la gonna, che sembrava ormai uno straccetto spiegazzato, mentre lo sguardo vagava per la stanza ad ammirare gli innumerevoli lavori di lui, muti testimoni del fatto che il suo talento non si era spento ma era andato in crescendo negli anni. Con movimenti lenti e fluidi Alice si tolse il monile dal collo e posò con delicatezza la stella sul palmo aperto della mano di Louis, attenta a non svegliarlo. Prese un bigliettino, uno di quelli fatti con carta riciclata, che i clienti utilizzavano per accompagnare i regali che acquistavano nella Bottega del Capo e vi scrisse: “Tienimela tu, abbine cura come ho fatto io per tutto questo tempo, tornerò a riprendermela e quando lo farò, sarà per non ripartire più. A presto amore e grazie. Ho capito soltanto adesso quello che hai fatto per me, credendo di fare solo quel che era giusto. Non sono sicura che tu abbia avuto ragione sai? Ci hai derubati entrambi di un’infinità di attimi preziosi che non abbiamo vissuto, ma se io ora non andassi via per continuare quello che ho cominciato tutto questo sarebbe stato inutile non è così amore mio? L’ho capito, anche se fa male lasciarti, oggi più di allora. Vado ad incastrare le ultime tessere del mosaico della mia vita ed a farlo incorniciare. Poi tornerò qui, lo appenderemo sopra il muro del tuo camino e trascorreremo il resto delle nostre vite a contemplarlo. Avrò avuto il mio successo: TE”. Poche parole erano state pronunciate: i baci, la pelle, le mani e gli occhi si erano detti tutto, senza bisogno di aggiungere nulla. Era ora di tornare, un ricordo meraviglioso si era aggiunto all’agenda della sua vita. Alice sapeva che l’avrebbe portato dentro, come un prezioso cibo di cui ci si nutre per non morire, dentro al cuore, fino alla prossima volta in cui, come sempre e per sempre, la forza del loro amore sarebbe esplosa ancora e ancora, per ritrovarli uniti, tremanti e felici, insieme davanti ad un tramonto a strapiombo sul mare, nella magia dei suoni e dei colori di Bussana Vecchia.


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