lunedì 30 giugno 2025

UN DUE TRE… STELLA! di WILMA AVANZATO, CHIVASSO (Torino)

UN DUE TRE… STELLA!

Era un pomeriggio assolato di inizio agosto e in paese quasi tutti se n’erano andati al mare o a cercare frescura altrove. Faceva caldo, molto caldo, e io stavo sulla soglia della mia edicola-tabaccheria perché dentro il negozio la temperatura era altissima e l’odore del piombo di stampa dei giornali prendeva alla gola.

Era da settimane che non si vedeva un temporale, la piazza era polverosa e le macchine parcheggiate sembravano coperte da un sottile velo di cipria grigia che le rendeva brutte e tristi, come abbandonate. Da lontano, il riverbero sull’asfalto ingannava gli occhi e la mente facendo credere che la strada fosse bagnata di pioggia recente.

 

La vidi sbucare dal portoncino di legno. Il vestitino di cotone, i sandaletti blu, le trecce lunghe lunghe e le ginocchia sbucciate. Mi chiesi come diavolo facesse quella bambina ad avere le ginocchia sbucciate: non usciva mai di casa se non per venire a comprare le stecche di sigarette per i suoi genitori e per tutti quelli che vivevano in quell’appartamento, proprio di fronte al mio negozio.

Era una casa vecchia, con due locali sfitti al pian terreno e un alloggio squallido al primo piano. Quattro finestre dai vetri non proprio puliti e un lungo balcone completavano l’abitazione che era rimasta anch’essa sfitta per molto tempo, perché il nostro paese offriva poco o niente, lontano dalle comodità della città.

Poi, a metà giugno, erano arrivati loro. Erano in otto: tre coppie, un ragazzo solo e quella bambina… e vivevano tutti insieme. Talvolta arrivava qualcuno di nuovo che si fermava pochi giorni e poi ripartiva con lo zaino sulle spalle.

Erano persone strane, schive e taciturne, che uscivano solo per andare a lavorare… forse. A parte la bambina, che veniva ogni giorno nella mia tabaccheria, nessuno li aveva mai visti negli altri negozi del paese… l’alimentari, il panettiere, la macelleria: probabilmente compravano le provviste in città, perché mangiare dovevano pur mangiare… Anche in chiesa non si erano mai visti e Don Giulio, che di solito andava a benedire la casa di chi arrivava nuovo in paese, si era ben guardato dall’andare da loro.

Una comune… così si diceva di quella casa: una comune dove vivevano tutti insieme, in promiscuità… Dei comunisti senza Dio…e due di loro avevano pure una bambina, magari senza neanche essere sposati…

La gente parlava e sparlava, ma nessuno poteva dire di conoscerli veramente.

 

La bambina attraversò con passo veloce la piazza, la testa bassa di chi non vuole farsi notare.

Sapevo che era diretta alla mia tabaccheria e mi scostai dalla porta per farla entrare. Mi sembrò tirare un sospiro di sollievo vedendo il negozio deserto. Non parlava con nessuno e non l’avevo mai vista giocare in piazza con gli altri bambini. Mi chiedevo se a ottobre avrebbe frequentato la scuola del nostro paese.

«Due stecche di sigarette… le solite…», disse in un soffio, srotolando le banconote che teneva in tasca e porgendomele.

Poi, preso velocemente ciò che avevo appoggiato sul banco, scappò via di corsa, senza neppure salutare.

 

La vedevo tutti i pomeriggi, sul balcone di quella casa: giocava da sola, anche se in piazza c’erano altri bambini a cui avrebbe potuto unirsi. E invece no: li osservava, magari avrebbe voluto essere lì con loro… ma probabilmente non le era permesso.  Forse i suoi genitori temevano qualcosa. Forse non doveva parlare con i suoi coetanei.

Chissà!

«Un due tre… stella!», pronunciava ad alta voce con gli occhi chiusi, girata verso il muro, per poi voltarsi di scatto a guardare compagni di gioco immaginari e, col dito indice puntato, gridare: «Tu… e anche tu… vi siete mossi… vi ho visto!».

Se c’erano bambini in piazza e la sentivano, cominciavano a prenderla in giro, ma lei continuava incurante. Una volta, uno di loro l’aveva invitata a scendere per giocare insieme, ma lei non aveva risposto: era rientrata frettolosamente in casa e per tutto il pomeriggio non l’avevo più vista sul balcone.

 

«Un due tre… stella!». Anche quel pomeriggio, sul balcone invaso dal sole accecante di agosto, la bambina si era messa a giocare. Ammiravo la sua fantasia e, allo stesso tempo, mi faceva una gran pena saperla tutta sola, su quel balcone che, guardato dalla prospettiva del mio negozio, sembrava una gabbia con dentro un animaletto irrequieto.

«Un due tre… stella!», continuava imperterrita mentre la osservavo stando sempre sulla soglia della tabaccheria… che tanto quel giorno avrei fatto meglio a chiudere, giacchè la piazza e le strade erano deserte per il caldo.

Ad un tratto vidi aprirsi il portoncino di legno sotto al balcone. Uscirono un uomo e una donna, quelli che avevo immaginato fossero i genitori della bambina.

«Mamma… papà… ciao!», li salutò infatti lei dal balcone, per poi riprendere subito il suo gioco… Un due tre… stella! Un due tre… stella!

I genitori non alzarono neppure lo sguardo verso di lei.

Li adocchiai incuriosito: non uscivano mai a metà pomeriggio, ma solo la mattina presto, all’ora in cui io aprivo il negozio. Sembrava che si sentissero osservati, seguiti, perché, mentre stavano andando a prendere l’auto, una Fiat 127 verde oliva parcheggiata lì nella piazza, si guardavano intorno come intimoriti.

 

«Un due tre… stella…» fu l’ultima cosa che sentii prima delle sirene spiegate.

Tre volanti della Polizia fecero irruzione nella piazza andando a rompere quel silenzio fatto di sole e di polvere e di caldo.

Io, d’istinto, scappai dentro il negozio ma, nonostante la paura, una curiosità prepotente mi fece rimanere fermo dietro la porta a vetri, per vedere cosa stava succedendo.

Dalle auto scesero diversi uomini, tutti col giubbotto antiproiettile e le pistole in pugno.

«Mani in alto! Polizia!».

I miei occhi andarono alla bambina sul balcone. Aveva smesso di giocare e guardava attenta cosa stava succedendo di sotto, accovacciata dietro la ringhiera, la faccia incredula. Strano, ma sembrava che accanto a lei, messi nella stessa posizione, ci fossero i suoi amici immaginari, quelli che giocavano a “un due tre… stella” e che immancabilmente si facevano sorprendere mentre si muovevano.

Quando il mio sguardo tornò alla piazza, partì il colpo di pistola verso l’uomo che aveva tentato un’inutile fuga. La donna, con le braccia alzate e un’arma puntata contro, cominciò a urlare vedendo il suo compagno a terra, inerme. La bambina sul balcone, no! Dalla sua bocca non uscì una sola sillaba. Scorsi solo i suoi occhi spaventati che sembravano voler schizzare via dal volto che era diventato mostruoso per l’orrore.

 

Il suono delle sirene delle volanti fu sostituito da quello dell’ambulanza. Non so chi l’avesse chiamata… forse qualcuno di quella casa, magari nella speranza di salvare il loro compagno…

L’uomo a terra pareva un fantoccio di pezza: le braccia scomposte, la posizione innaturale. Fu caricato su una lettiga e, dopo che il medico gli tastò il collo e scosse la testa, l’ambulanza ripartì con a bordo non un ferito ma un morto.

Poi, dopo quei momenti lunghi il tempo di una vita spezzata, la piazza fu di nuovo, soltanto, un posto assolato, pieno di polvere e di macchine coperte dal sottile velo di cipria grigia. Come non fosse successo nulla. E la bambina sul balcone era scomparsa. Il suo gioco si era interrotto, come la sua infanzia.

 

Brigatisti! Così titolarono i giornali il giorno dopo… quei giornali che io vendevo nel mio negozio.

Brigatisti, quelli della comune!  Così disse la gente.

Erano gli “anni di piombo”… con questo nome sarebbero stati consegnati alla Storia… e per questo nessuno si stupì, nemmeno del fatto che fosse successo in un paese piccolo come il nostro, estraneo ai cortei studenteschi e agli scioperi, lontano dalle grandi città e dalle occupazioni di università e fabbriche. Nessuno si stupì perché si sapeva che le Brigate Rosse ormai avevano rami ovunque.

Ma, nei giorni successivi, i racconti su quanto era successo si moltiplicarono, ricamati con sempre nuovi particolari. Dissero che le due persone arrestate avevano partecipato a numerose rapine e addirittura al sequestro di “quello degli spumanti”[1] di Canelli. Dissero che avevano piazzato bombe e ucciso persone. Dissero che anche quel giorno avevano sparato, per non farsi arrestare. Dissero che qualcuno li aveva “traditi” facendoli cadere nella trappola della Polizia.

Dissero tante cose… ma in fondo nessuno sapeva nulla di loro, e quel giorno nella piazza non c’era anima viva: solo io e la bambina sul balcone. Quell’arsura provvidenziale li aveva portati tutti al mare o li aveva chiusi in casa, davanti al ventilatore acceso… quasi a voler risparmiare loro l’incontro con un piccolo pezzo di Storia di quegli anni terribili.

 

Nessuno però parlò della bambina… La bambina che giocava sul balcone e che aveva visto tutto. Che aveva visto arrestare sua madre e morire suo padre.

La bambina che era stata costretta a vivere in un mondo di soli adulti.

La bambina che stava pagando le scelte scellerate dei suoi genitori e di una generazione che parlava di “lotta di liberazione della classe operaia” e lo faceva con le armi e con le bombe, con il sangue e con la morte.

 

Sembrava non essere mai esistita, quella bambina, anche se io continuai per giorni, mesi, anni, a sentire la sua voce squillante provenire da quel balcone ormai privo del suo gioco.

Un due tre… stella!

 

 WILMA AVANZATO, CHIVASSO (Torino)



[1]  Vittorio Vallarino Gancia, sequestrato dalle Brigate Rosse il 4 giugno 1975.

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