mercoledì 21 luglio 2021

"Un palato semplice (Palinodia)" vincitore ex aequo satira di Francesco Masini, Genova

 

                      UN  PALATO  SEMPLICE   (Palinodia) 

 

                                           (“Errai, chef e gourmet!”)

 

 

Caso mirabile,

imprevedibile,

oggi mi capita

sì, proprio qui:

 

esser discepolo

della più nobile,

lieta combriccola

del mezzodì.                            

 

Stupito, in estasi,

tra tanti interpreti

d’una finissima

gastronomia

 

che, destri, trattano 

ricette e pentole                                                               

con invidiabile,                                                                                                                                                                                                                                                     rara maestria,

 

quasi trasecolo

per l’ineffabile

splendido scibile

che m’incantò

 

e, ringraziandovi,

la mia inflessibile

palinodia

or v’offrirò.

 

Se ambrosia e nettare 

semplici viveri

a me sembrarono,

in verità,

 

vivande utili,

da ingoiar subito

con istantanea

celerità,

 

a queste nobili

e dotte dispute

il mio carattere

s’ingentilì:

 

a gusti facili

e discutibili

s’impose insolita

sensiblerie”.

 

Certo a distinguere

mai, mai fui abile:

mosso da rustica

voracità,

 

tutto l’edibile

trovai accettabile,

solo escludendone

il baccalà.

 

Ora, con trepida

sollecitudine,

i vostri fulmini

affronterò

 

e inconfessabili

colpe e punibili

qui, “coram populo”,

rivelerò.

 

Più “divorabile”,

che “degustabile”,

il commestibile

apparve a me,

 

ingerii impavido

l’indigeribile

con modi ruvidi,

incolti, ahimè!

 

Inginocchiandomi,

venia chiedendovi

per innegabile

lesa maestà,

 

per fatti espliciti,

inoppugnabili,

certi, che offendono

la qualità,

 

ammetto umile

l’inammissibile

uso di eccedere

in quantità,

 

riconoscendomi

incauto e debole,

per una simile

enormità.

               

Fu errore ignobile,

imperdonabile,

quel che (incredibile!)

spesso macchiò

 

mio agire semplice,

inconsapevole,

degno d’un pargolo,

sì, sì, lo so!

 

Grana passabile,

moscio e friabile,

Camembert candido

sopravanzò

 

e vino nobile

brillante, nitido,

con Coca torbida

non la spuntò.

 

Dacché, evolvendomi,

io volli rompere

col Tavernello

per il Bordeaux,

 

d’innumerevoli

vini pregevoli

fan fedelissimo

sono e sarò.

 

Ma io fermandomi

alla sua immagine

guardavo il vivido

rosso liquor,

 

voi addentrandovi

nella sua anima,

vibranti, fervidi

di sacro ardor.

 

Mai pIù allo splendido

nettare bacchico

con fatuo animo

m’accosterò,

 

qualificandolo

buono”, o anche “ottimo”,

“discreto”, “valido”;

no, no, dirò:

 

“amico”, “timido”,

“flessuoso”, “morbido”,

“pugnace”, “intrepido”

o, perché no?

 

“ostile”, “ostico”,

ma poi “arrendevole”,

“con quel femmineo

gusto retrò”.

 

Non meno insipido,

gramo, fallibile,

risultò l’esito

che mi toccò

 

quando la fregola

d’esser gastronomo,

a piatti e pentole

m’avvicinò.

 

Forse illudendomi

d’esser idoneo,                          

estemporaneo

cuoco gourmet,

 

con prove equivoche,         

goffe, ridicole,

resi immangiabile

pure il puré,

 

o, teso al compito

che la mia coniuge

pensò affidabile

persino a me,

 

sventato, inabile,

con far risibile,

stimai “bollibile

nell’acqua il .

 

Or, congedandomi,

grazie rendendovi,

radiose fiaccole

d’urbanità,                 

 

un chiaro simbolo

di simpatetica,

forte e durevole       

affinità

 

sia questo brindisi:

“Se un che d’ironico

dalla mia predica

affiorerà,

 

s’alzino i gomiti

ed ogni acredine

l’amato Dioniso

discioglierà”.                                   

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