Mani da vecchio
Mani da vecchio, scarne, disegnate
di vene blu in rilievo, macchie scure,
la pelle a grinze come un otre sgonfio
rivelano i miei giorni consumati.
Le riguardo alla luce della sera
di un cielo grigio d’addensate nubi
e m’ingegno a fatica di pensare
com’erano una volta, ch’ero bimbo,
minuscole, ma colme di speranza,
desiderose di abbracciare il mondo,
di stringere le redini del tempo,
di sfiorare il bel volto di mia madre
già segnato dagli anni. La memoria
svanisce lentamente e sembra proprio
che i giorni mi cancellino pian piano,
ma ancora posso sentire la dolcezza
che t’illumina gli occhi, quando immagino
di poterti donare una carezza.
Pietro Baccino, Savona
Palcoscenico (1-1997)
Ti saluto,
Mio Unico Pubblico,
seduto in prima fila,
su una poltrona di velluto…
Ti saluto e ti amo,
Mio Unico Pubblico,
perché noi siamo così,
attori di vecchia scuola,
di epoche eroiche e romantiche,
fuori da questo tempo veloce,
senza più momenti per sognare…
Ti recito la mia vita,
che poi è anche la tua,
che sento come la nostra,
in battute brillanti,
in lacrime accennate,
di maschere credibili,
tanto da sembrare vere,
lontane dalle esagerazioni,
di farse e tragedie…
Ti recito la mia vita,
ti recito la tua vita,
che spero sia la nostra vita,
in analisi acute,
in metafore folgoranti,
in episodi emblematici,
sotto questi timidi riflettori,
come luce di luna…
Recito e ti amo,
in questa commedia così vera,
piena del tuo profumo,
dalla prima fila,
che è già palcoscenico…
Adalberto Torelli
Cuneo
Palcoscenico 2015
C’è sempre un palcoscenico,
in un piccolo teatro barocco,
fronzoli ottocenteschi,
di ovvio pessimo gusto,
tra dorature e rattoppi,
e tanto velluto liso,
di sedie vuote...
Continuiamo a recitare,
le nostre vite,
in battute brillanti,
versi musicali,
ironie sottili...
La differenza,
più evidente ogni sera,
è la stanchezza,
che ha ucciso il dolore,
persino...
Mio unico pubblico,
non mi importa più,
neppure,
se applaudi,
se lo fai per sola cortesia,
o se ci sei...
Non provo neanche più,
a lanciare occhiate,
nascoste,
nel buio della platea...
Adalberto Torelli
Cuneo
“Chi mi chiama soldato”
(Ad un fante zappatore, Asiago 1917)
Sono ancora qui, al segreto riparo
nel grembo di questa mia nuova terra
sono ancora qui, ma lontano è lo sparo
passato in un giorno d’inverno e di guerra.
La divisa leggera era senza colore,
mangiavo la zuppa e scaldavo le mani
novembre donava un tiepido sole
pensavo alla vita e sognavo il domani.
Ho avuto pensieri che volavano alto
e una lettera aperta sempre sul cuore,
la paura non ha fermato il mio salto
ma nel sangue versato ho sentito il dolore.
Ho amato la valle e queste montagne
soltanto alla fine del mio breve viaggio;
son cresciuto con cene di sole castagne
ma ho scavato trincee di puro coraggio.
Sono ancora qui, in un filo leggero di fiato,
nel bianco delle strade che vanno in salita,
sento ancora chi mi chiama “soldato”
ma trattengo il respiro e canto alla vita.
Maria Francesca Giovelli
Caorso (Piacenza)
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