lunedì 18 luglio 2016

Poesie vincitrici 2016


Mani da vecchio

 

Mani da vecchio, scarne, disegnate

di vene blu in rilievo, macchie scure,

la pelle a grinze come un otre sgonfio

rivelano i miei giorni consumati.

Le riguardo alla luce della sera

di un cielo grigio d’addensate nubi

e m’ingegno a fatica di pensare

com’erano una volta, ch’ero bimbo,

minuscole, ma colme di speranza,

desiderose di abbracciare il mondo,

di stringere le redini del tempo,

di sfiorare il bel volto di mia madre

già segnato dagli anni. La memoria

svanisce lentamente e sembra proprio

che i giorni mi cancellino pian piano,

ma ancora posso sentire la dolcezza

che t’illumina gli occhi, quando immagino

di poterti donare una carezza.

 

Pietro Baccino, Savona

 

 

 

Palcoscenico (1-1997)

 

Ti saluto,

Mio Unico Pubblico,

seduto in prima fila,

su una poltrona di velluto…

 

Ti saluto e ti amo,

Mio Unico Pubblico,

perché noi siamo così,

attori di vecchia scuola,

di epoche eroiche e romantiche,

fuori da questo tempo veloce,

senza più momenti per sognare…

 

Ti recito la mia vita,

che poi è anche la tua,

che sento come la nostra,

in battute brillanti,

in lacrime accennate,

di maschere credibili,

tanto da sembrare vere,

lontane dalle esagerazioni,

di farse e tragedie…

 

Ti recito la mia vita,

ti recito la tua vita,

che spero sia la nostra vita,

in analisi acute,

in metafore folgoranti,

in episodi emblematici,

sotto questi timidi riflettori,

come luce di luna…

 

Recito e ti amo,

in questa commedia così vera,

piena del tuo profumo,

dalla prima fila,

che è già palcoscenico…

 

Adalberto Torelli

Cuneo

 

 

 

Palcoscenico 2015

 

C’è sempre un palcoscenico,

in un piccolo teatro barocco,

fronzoli ottocenteschi,

di ovvio pessimo gusto,

tra dorature e rattoppi,

e tanto velluto liso,

di sedie vuote...

 

Continuiamo a recitare,

le nostre vite,

in battute brillanti,

versi musicali,

ironie sottili...

 

La differenza,

più evidente ogni sera,

è la stanchezza,

che ha ucciso il dolore,

persino...

 

Mio unico pubblico,

non mi importa più,

neppure,

se applaudi,

se lo fai per sola cortesia,

o se ci sei...

 

Non provo neanche più,

a lanciare occhiate,

nascoste,

nel buio della platea...

 

Adalberto Torelli

Cuneo

 

 

 

“Chi mi chiama soldato”

(Ad un fante zappatore, Asiago 1917)

 

Sono ancora qui, al segreto riparo

nel grembo di questa mia nuova terra

sono ancora qui, ma lontano è lo sparo

passato in un giorno d’inverno e di guerra.

 

La divisa leggera era senza colore,

mangiavo la zuppa e scaldavo le mani

novembre donava un tiepido sole

pensavo alla vita e sognavo il domani.

Ho avuto pensieri che volavano alto

e una lettera aperta sempre sul cuore,

la paura non ha fermato il mio salto

ma nel sangue versato ho sentito il dolore.

Ho amato la valle e queste montagne

soltanto alla fine del mio breve viaggio;

son cresciuto con cene di sole castagne

ma ho scavato trincee di puro coraggio.

 

Sono ancora qui, in un filo leggero di fiato,

nel bianco delle strade che vanno in salita,

sento ancora chi mi chiama “soldato”

ma trattengo il respiro e canto alla vita.

 

Maria Francesca Giovelli

Caorso (Piacenza)

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